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Tennis, Sinner si confessa: il rapporto con papà e Berrettini, i trionfi su Medvedev e Djokovic

Prima di trasferirsi ad Alicante, dove preparerà i primi impegni del 2024, Jannik si confessa a Max Giusti nel gala del tennis italiano. E parla a ruota libera del suo 2023.

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Roberto Barbacci

Roberto Barbacci

Giornalista

Giornalista (pubblicista) sportivo a tutto campo, è il tuttologo di Virgilio Sport. Provate a chiedergli di boxe, di scherma, di volley o di curling: ve ne farà innamorare

Tutti lo vogliono, tutti lo cercano, tutti lo invocano. Jannik Sinner ha oscurato qualsiasi altro sportivo italiano in quest’ultimo scorcio di 2023, tanto che qualcuno è persino arrivato ad affermare che di uno così ne avrebbe bisogno (eccome) il mondo della politica. Un ragazzo serio e spontaneo, genuino e diretto, uno di quelli che affronta la vita per quello che è, ma senza montarsi troppo la testa quando le cose vanno bene.

Jannik e l’importanza della famiglia

Così, dopo qualche giorno di vacanza sulle nevi della Val Pusteria e in attesa di prendere l’aereo che lo porterà ad Alicante, sede scelta per preparare la trasferta australiana di gennaio, il numero uno del tennis italiano ha voluto celebrare la conquista (scontata) del premio di miglior tennista del 2023 nella serata di gala di SuperTennisTV per raccontare qualcosa di sé e cosa si aspetta dall’anno che sta per arrivare.

Intervistato da Max Giusti, Sinner ha risposto con il solito garbo e la semplicità che lo contraddistingue a tante domande che sfuggono alla normale retorica giornalistica. Una chiacchierata a cuore aperto nella quale ha cercato per prima cosa di individuare qual è stata la chiave che gli ha permesso di cambiare marcia a un certo punto della stagione.

Non c’è un momento preciso, ma quando fai tanti risultati di fila vuol dire che il lavoro comincia a dare risultati. Ed è un percorso che non si fa in uno o due mesi, ma in un anno intero. Sicuramente, avendo girato tanto in lungo e in largo per il mondo, arrivare a ogni torneo preparato fisicamente è stata la cosa più importante. Poi la voglia di imparare e di migliorare e l’affiatamento con il mio team mi hanno permesso di trovare la combinazione giusta.

Un team nel quale da un po’ di tempo a questa parte fa parte integrante anche papà Hanspeter.

Ha fatto il cuoco per tutta la vita, e ai fornelli ci sa fare. Ma dopo 40 anni di lavoro, negli ultimi anni l’avevo visto un po’ giù. Così mi sono detto: voglio tirarlo fuori da questa situazione. Allora gli ho detto di seguirmi in giro per il mondo, così me lo godo anche un po’ più di quanto riuscissi a fare prima, anche perché in alcuni tornei non vado in albergo ma prendo una casa, e ci ritroviamo tutti sotto lo stesso tetto.

La Davis e l’esaltazione del concetto di squadra

A Torino la Sinner mania è scoppiata come mai era capitato di vedere nella storia del tennis italiano.

Tutto quel tifo è stato incredibile. Addirittura i cori da stadio… un’emozione unica. Ho sentito una grande connessione con il pubblico, e davvero mi è sembrato di essere a casa.

Qualcosa che in parte ha avvertito anche a Malaga, nei giorni della Davis, riportata in Italia dopo 47 anni.

La Davis è davvero particolare, perché ti fa vivere il clima di uno spogliatoio, il senso di unione di una squadra. È bello poter confrontarsi con i tuoi colleghi dopo un punto, e capire la loro opinione. Penso a Berrettini, il cui nome non è nell’albo d’oro della coppa che abbiamo vinto, ma che se ci fosse un modo per poterlo aggiungere ognuno di noi vorrebbe che ciò accadesse. Vederlo lì, seppur infortunato, rende l’idea di quanto fosse unito il nostro gruppo. E speriamo che sia solo l’inizio di una lunga scia di successi.

La vittoria a Toronto e il tabù Tiafoe infranto a Vienna

Nella chiacchierata Sinner ha ripercorso anche alcune tappe fondamentali e iconiche del suo 2023. Dal punto nel match perso a Miami contro Alcaraz fino al primo Masters 100 vinto (a Toronto), passando per le vittorie contro Medvedev a Pechino e Vienna e quella contro la bestia nera Tiafoe.

Del match con Alcaraz ricordo di aver perso, ma ricordo anche che dopo la partita tutti parlavano di quel punto che avevo realizzato, segno che devo aver fatto qualcosa di veramente eccezionale… vincere a Toronto invece è stata una piccola liberazione: venivo da due Master 1000 persi in finale, ma è soltanto dopo aver vinto un torneo così importante che capisci la differenza che c’è tra vincere e arrivare secondo.

La vittoria a Vienna contro Tiafoe è stata un altro passaggio chiave: l’anno prima avevo servito per il match, ma mi ero fatto prendere dal nervosismo e finii per perdere un match che avevo in tasca. Col mio team abbiamo lavorato anche su questo aspetto: se perdo la concentrazione, devo essere bravo a ritrovarla subito. Pensare con la mia testa, non con quella degli altri.

Le imprese contro Djokovic, l’inizio di una nuova vita

Impossibile non chiudere il cerchio con le due vittorie ottenute contro Djokovic, la prima a Torino e la seconda (annullando tre match point) in Davis.

La prima è stata speciale, anche perché giocare e vincere davanti al pubblico italiano è stato incredibile. In Davis sapevamo di avere una grande chance, con la Spagna out e la Russia esclusa. Aver potuto annullare tre match point con le palle nuove è stato fondamentale, e sapevo di avere questa carta da giocare. La nostra Davis è stata complessa, sempre a rincorrere sin dalla tappa di Bologna. Ma alla fine abbiamo scoperto strada facendo che sta venendo fuori qualcosa di unico, ed è stato bello chiudere in gloria contro l’Australia.

La terra dove riaccendere i sogni, puntando (stavolta si) a scrivere il proprio nome anche su un torneo dello slam.

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