Quando Vladimir Jugovic si presenta sul dischetto dell’Olimpico per battere l’ultimo rigore della serie tra Juventus e Ajax, ai tifosi bianconeri passano davanti tutti i fantasmi del passato. Per la Vecchia Signora, che avrebbe perso in futuro tante altre finali, la Champions League era una coppa maledetta già nel 1996: tra i suoi flashback del Vietnam c’erano già il gol a freddo di Magath con l’Amburgo e la sconfitta contro l’Ajax del 1974. Quel trofeo mancava a Torino dal 1985 e la tensione era più che giustificata.
Due persone, però, si dice che abbiano vissuto quel momento in totale serenità. Il primo è l’avvocato Agnelli, che, mentre tutti si giravano dall’altra parte per paura di assistere al rigore, pare avesse tranquillizzato le persone intorno a lui con le parole «State calmi, è serbo…». L’altro è proprio Vladimir Jugovic, che in uno stato di totale atarassia fissa negli occhi van der Sar e accenna un sorriso, sicuro al cento per cento di far gol. Juga prende la rincorsa, incrocia il tiro e supera il portiere olandese a fil di palo. La Juventus torna sul tetto d’Europa e certifica il suo status di miglior squadra al mondo.
È l’apoteosi, probabilmente, non solo per il mondo bianconero, ma anche per la carriera di Jugovic, uno dei centrocampisti più forti della Serie A degli anni ‘90. Il serbo, nel nostro paese, ha vestito le maglie di Sampdoria, Juventus, Lazio e Inter, riscuotendo affetto e consensi praticamente ovunque. Una storia di successo, che parla di un vincitore seriale, capace di conquistare qualsiasi trofeo a livello di club.
- Una storia segnata già dall’inizio: gli esordi di Jugovic
- Jugovic alla Sampdoria di Eriksson
- Soldato di Lippi: Jugovic alla Juventus
- L’anno alla Lazio, l’ultimo grande Jugovic
- Palmares di Vladimir Jugovic
Una storia segnata già dall’inizio: gli esordi di Jugovic
Che il destino di Vladimir Jugovic nel mondo del calcio fosse quello di collezionare trofei, lo si capiva già dall’inizio della sua carriera. Come molti fuoriclasse della Jugoslavia dell’epoca, il centrocampista di Trstenik si forma nelle giovanili della Stella Rossa di Belgrado ed esordisce in campionato a vent’anni, nel 1989. Già da ragazzo si parla un gran bene di lui, ma, nonostante il talento, i primi tempi tra i grandi non sono facili. Jugovic gioca poco, così, la società lo manda in prestito in un club più piccolo, il Rad Belgrado. Lì l’allenatore è Ljupko Petrovic, che stravede per lui e ne sfrutta l’estro e gli inserimenti in posizione di trequartista.
I mesi in prestito sono il trampolino di lancio per Juga, ma anche per il suo allenatore: entrambi, infatti, si ritrovano alla Stella Rossa nella stagione successiva. Il 1990/91 è un anno storico per la squadra serba, capace di conquistare, al San Nicola di Bari contro il Marsiglia, la sua prima e unica Coppa dei Campioni. Jugovic è un titolare fisso di quella squadra, stavolta, però, al centro della mediana. Vista la concorrenza sulla trequarti, infatti, Petrovic lo ricalibra da centrocampista, dove con la sua duttilità può assolvere a qualsiasi compito, che si tratti di regia, interdizione o inserimenti.
Se si considera il primo anno in prestito, Jugovic con la Stella Rossa mette in bacheca tre campionati jugoslavi di fila, la Champions League e la Coppa Intercontinentale, vinta da protagonista assoluto grazie a una doppietta contro i cileni del Colo Colo, che gli era valsa il premio di migliore in campo.
Per quella squadra straordinaria, piena di fuoriclasse come Mihajlovic, Prosinecki e Savicevic, sarà il canto del cigno. La dissoluzione della Jugoslavia, la guerra e le conseguenti sanzioni da parte dell’ONU, che impongono un embargo alla Federazione anche nello sport (per le squadre di club è vietato partecipare alle competizioni europee), porteranno ad una diaspora di giocatori dalla Stella Rossa, molti dei quali raggiungeranno proprio il nostro campionato.
Jugovic alla Sampdoria di Eriksson
Jugovic arriva in Italia nell’estate del ‘92, alla Sampdoria. In quel momento, il club del presidente Mantovani vive un momento di transizione. Reduci dallo scotto della finale di Coppa dei Campioni persa a Wembley contro il Barcellona, i blucerchiati hanno perso il loro capitano, Gianluca Vialli, ed anche Vujadin Boskov, l’allenatore dello scudetto. Sulla panchina si siede Sven Goran Eriksson, reduce da un’esperienza al Benfica. In rosa ci sono ancora campioni d’Italia come Mancini, Lombardo, Vierchowod e Pagliuca, ma anche giovani di prospettiva come Enrico Chiesa, Claudio Bellucci, Eugenio Corini e Nicola Amoruso.
Jugovic si impone da subito come titolare e alla prima giornata si presenta col gol: una punizione di piattone destro da trenta metri contro la Lazio, con la palla che si infila all’angolino basso del secondo palo. A livello realizzativo, la prima stagione a Marassi rimarrà la migliore per il serbo in Italia, con 9 gol in 33 partite di campionato. Un giocatore così completo non ha bisogno di molto tempo per ambientarsi in un nuovo paese, e così Jugovic conquista definitivamente il cuore della gradinata sud all’ottava giornata, in un Derby della Lanterna vinto per 4-1: l’ex Stella Rossa segna il 3-1 in contropiede, dopo aver saltato pure il portiere, col Genoa scoperto alla ricerca del pareggio.
Il primo titolo in Italia, però, arriva solo alla stagione successiva. La Samp vince la Coppa Italia 1993/94 dopo aver battuto per 6-1 nella finale di ritorno il sorprendente Ancona di Vincenzo Guerini, capace di arrivare in fondo alla competizione pur militando in Serie B.
La vittoria vale ai blucerchiati l’accesso alla Coppa delle Coppe del 1994/95. Per Jugovic sarà l’ultimo anno a Genova, ma anche il più difficile. In Serie A, infatti, a causa di qualche infortunio accumula solo 21 presenze. Ben diversa, però, la situazione in Coppa delle Coppe, dove riesce a disputare quasi tutti gli incontri. In quella stagione, la Samp è nuovamente una squadra piena di campioni, quasi all’altezza di quella dello scudetto. Mancini, Lombardo e Vierchowod sono ancora al loro posto, Zenga ha sostituito Pagliuca in porta, mentre gli stranieri sono fuoriclasse affermati come Platt, Mihajlovic e Gullit. Senza contare, ovviamente, Juga stesso, che quasi trascina la squadra di Eriksson in finale.
In semifinale, infatti, la Samp incrocia l’Arsenal, all’ultimo anno prima dell’era Wenger. Ad Highbury gli inglesi vincono per 3-2 e Jugovic tiene in vita i suoi con una doppietta. Particolarmente pregevole il secondo gol, con Roberto Mancini che con la coda dell’occhio vede l’inserimento del serbo e lo innesca con un colpo di tacco che lascia di stucco tutta la difesa londinese. A Marassi, la partita di ritorno si conclude con lo stesso risultato, stavolta in favore della Samp. Ai rigori, però, passa l’Arsenal. Sarà l’ultimo grande rimpianto per quella squadra piena di giocatori fenomenali.
Soldato di Lippi: Jugovic alla Juventus
Dopo tre stagioni ad alti livelli, in Italia e in Europa, Jugovic ha una reputazione tale da attirare l’attenzione della Juventus. La Vecchia Signora vanta un centrocampo tra i migliori al mondo, un mix di corsa, intelligenza tattica, inserimenti e piedi buoni composto dal terzetto Deschamps-Paulo Sosa-Conte. A nomi del genere, Moggi riesce ad affiancare anche il serbo. Impegnati su tre fronti, i bianconeri, infatti, non possono permettersi di avere solo undici titolari. Il gioco di Lippi è estremamente dispendioso. Un calcio verticale con la palla ed estremamente intenso, dove nessuno, attaccanti compresi, è esente da pressing e ripiegamenti.
Jugovic, in questo senso, è il centrocampista ideale per il tecnico viareggino. Il suo repertorio è così completo che, nella sua esperienza italiana, si ritroverà ad agire da mediano, da mezzala, ma anche da esterno. «Alla Stella Rossa giocavo davanti alla difesa. In Italia poi, visto che ho buone caratteristiche per concludere a rete, hanno scoperto che era un peccato tenermi lontano dalla porta. E così mi sono spostato più avanti», ha raccontato.
Juga poteva assolvere a tante funzioni in campo. Per la sua polivalenza, alla Lazio si sarebbe guadagnato il soprannome di Mezzasquadra. Aveva un gran senso dell’inserimento, ma poteva anche rimanere più bloccato per partecipare alla costruzione della manovra, dove era notevole la sua capacità di nascondere la palla agli avversari ed eludere la pressione, molte volte anche con una Veronica. «Sa dare tranquillità ai compagni, perché quando ha la palla al piede è sempre padrone della situazione», ha detto di lui Eriksson.
In fase di non possesso, poi, non risparmiava nemmeno una goccia di sudore ed era furioso nel pressing. Tante volte, dopo aver sradicato il pallone dai piedi degli avversari, riusciva a verticalizzare mandando in porta i compagni, con una grande capacità di coniugare aggressività e visione di gioco. In questo senso, era un soldato perfetto per il gioco di Lippi, dove ogni recupero palla poteva diventare una transizione letale. È sempre difficile paragonare epoche diverse, ma con queste caratteristiche Jugovic non avrebbe fatto fatica ad adattarsi anche al calcio di oggi.
Al di là di ogni supposizione, al serbo basta una sola stagione per entrare nella storia della Vecchia Signora. Il rigore contro l’Ajax non è il suo solo gol pesante, perché l’ex Stella Rossa aveva messo la sua firma anche nella semifinale col Nantes. All’andata, sul punteggio di 1-0, Jugovic aveva segnato il gol del raddoppio definitivo con uno splendido destro dai venti metri, che era finito sotto l’incrocio del secondo palo.
Dopo il trionfo dell’Olimpico, ad aspettare il numero diciotto bianconero c’è un’altra Intercontinentale, vinta con una prodezza di Del Piero contro il River Plate. La seconda stagione a Torino, comunque, è contraddittoria. Jugovic vince il suo primo e unico scudetto, ma per la Juve ricomincia la maledizione delle finali di Champions. Lippi e i suoi arrivano un’altra volta in fondo alla competizione e ad attenderli c’è il Borussia Dortmund, pieno di ex come Kohler, Moller e Paulo Sosa, scaricato dalla Juve proprio nell’estate del ‘96.
I precedenti tra le due squadre sorridevano ai bianconeri che, a differenza dell’anno precedente con l’Ajax, stavolta partono col favore del pronostico. Una situazione forse più difficile da gestire dal punto di vista emotivo, tanto che nemmeno Jugovic, di solito imperturbabile e sicuro di sé, sembra troppo sereno alla vigilia. «Non possiamo battere il Borussia all’infinito. Ero più tranquillo l’anno scorso, quando i favoriti erano gli olandesi».
Un presagio di sventura che si tramuta in realtà. Finisce 3-1 per i tedeschi, campioni nonostante una magia di tacco di Del Piero avesse riaperto la contesa. Per la Juve, che non conosce gratitudine, è il momento di cominciare un nuovo ciclo. Tra i primi ad essere sacrificati c’è proprio Jugovic, venduto alla Lazio. Una cessione che proprio non va giù a Lippi e che genera frizioni con la dirigenza.
L’anno alla Lazio, l’ultimo grande Jugovic
Nemmeno il diretto interessato, comunque, la prende benissimo, e lo rende noto proprio alla conferenza stampa di presentazione col nuovo club. «Sinceramente sono rimasto un po’ stupito da questa cessione. Probabilmente a Torino hanno pensato di ringiovanire un po’ la squadra. È stata la società a scegliere di mandarmi via. Anche perché alla fine della stagione il tecnico Lippi avrebbe voluto tenermi».
Jugovic probabilmente sarebbe rimasto volentieri al Delle Alpi, ma comunque non fatica a calarsi nella nuova realtà, anche perché l’allenatore è Erkisson, che ritrova dopo Genova. Come in ogni altra sua squadra, diventa da subito indispensabile. Il serbo, a quel punto della carriera, si è già costruito la reputazione del vincente, capace di alzare trofei con qualsiasi maglia. La Lazio, però, non mette niente in bacheca da oltre vent’anni, dallo scudetto del 1974.
Sarà una casualità, ma i biancocelesti ritornano ad assaporare la gloria proprio nell’anno di Jugovic. Con lui, arriva la vittoria della Coppa Italia, contro un avversario del calibro del Milan di Capello. Per l’ex juventino e per la tifoseria è un annata di soddisfazioni, con la Lazio capace di vincere ben quattro derby su quattro tra campionato e coppa. L’unica macchia sul 1997/98, è la finale di Coppa UEFA persa malamente contro l’Inter, nella partita in cui Ronaldo Nazario dimostra di praticare un altro sport rispetto al resto degli esseri umani. «Siamo arrivati alla finale di Parigi stanchi, in difficoltà e con qualche assenza. In più la vittoria della Coppa Italia ci aveva anche un po’ rilassato. A Roma è così. Quando vinci rischi di staccare un po’ la spina. Loro erano forti, avevano Ronaldo ed erano molto più concentrati di noi. Peccato perché in campionato li avevamo battuti nettamente».
Per la Lazio quella stagione rappresenta l’inizio di un ciclo, la prima pietra su cui poi Cragnotti avrebbe eretto la squadra in grado di vincere Coppa delle Coppe, Supercoppa UEFA e Scudetto. Di quel progetto, però, Jugovic non farà parte.
Durante il mondiale in Francia, infatti, il patron biancoceleste si accorda con l’Atletico Madrid per una sua cessione. L’allenatore dei colchoneros, in quel momento, è Arrigo Sacchi e il loro centravanti è Cristian Vieri, che telefona ripetutamente Jugovic, suo ex compagno alla Juve, per convincerlo a raggiungere la Spagna. Il serbo si lascia dissuadere e accetta il trasferimento. Beffa delle beffe, però, dopo il suo arrivo Vieri lascia l’Atletico proprio per la Lazio, che, se vogliamo, aveva ottenuto i soldi per acquistarlo proprio vendendo Jugovic. Come se non bastasse, la squadra stenta a vincere, Sacchi viene esonerato e il serbo rimane vittima di problemi muscolari. La scelta di andare in Spagna, probabilmente, rappresenta la fine della sua carriera ad alti livelli.
Tornerà in Italia, all’Inter, per volontà del nuovo allenatore Marcello Lippi. Come sappiamo, il matrimonio tra il tecnico viareggino e i nerazzurri sarebbe naufragato nel giro di una stagione e qualche mese. Juga a San Siro non rende come vorrebbe. Per di più, tifosi e giornalisti lo accusano di essere il cocco di Lippi. Così, alla fine della stagione 2000/01 lascia l’Italia per trasferirsi al Monaco.
Jugovic ha vestito tante maglie diverse, non solo nel nostro campionato. In molti casi, però, non è stato lui a decidere di andarsene, ed è per questo che, nonostante non abbia mai messo radici in nessuna città, è amato da tutte le tifoserie per le quali abbia giocato. Un caso raro, ma che dimostra ancora di più come il serbo sia stato uno dei protagonisti più particolari del periodo d’oro della Serie A.
Palmares di Vladimir Jugovic
- Campionato jugoslavo: 2 (Stella Rossa, 1990/91, 1991/92)
- Coppa Italia: 2 (Sampdoria 1993/94, Lazio 1997/98)
- Campionato italiano: 1 (Juventus, 1996/97)
- Coppa di Lega francese: 1 (Monaco, 2002/03)
- Coppa dei Campioni/Champions League: 2 (Stella Rossa 1990/91, Juventus 1995/96)
- Coppa Intercontinentale: 2 (Stella Rossa 1991, Juventus 1996)
- Supercoppa UEFA: 1 (Juventus 1996)