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Walter Sabatini e il suo dramma: sto sulla sedia a rotelle e con un sol polmone malato, Dio mi ha deluso

L'ex dirigente di Roma e Inter ricorda anche i giorni in cui andò in coma: la lite con Zeman e la mancanza di stima nei confronti di Beppe Marotta

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Fabrizio Piccolo

Fabrizio Piccolo

Giornalista

Nella sua carriera ha seguito numerose manifestazioni sportive e collaborato con agenzie e testate. Esperienza, competenza, conoscenza e memoria storica. Si occupa prevalentemente di calcio

Quando era alla Roma ed entrava in sala stampa la prima cosa che chiedeva ai cronisti era di potersi accendere una (diciamo qualche) sigaretta. Ora, e non da oggi, Walter Sabatini non può farlo più. Da tempo l’ex dirigente di Inter e Salernitana convive con gravissimi problemi respiratori. Da anni ha un solo polmone, l’altro glielo hanno asportato e di operazioni di ogni tipo ne ha subite tante. Intervistato dal Corriere della Sera Sabatini si racconta e, come sempre, non dice cose banali.

Sabatini e la malattia

Il calcio è la sua droga e insieme anche la sua salvezza. Forse proprio per il suo amore per il pallone è venuto fuori da momenti difficilissimi. Quando era alla Sampdoria fu operato d’urgenza per un probabile tumore al polmone e dovette lasciare ma è sempre rientrato dalla porta principale, sia pur tra liti e polemiche. Fa parte del suo carattere. A Sarri consigliò di smettere di fumare, vista la sua esperienza (“eh lo so ma come faccio?” rispose il tecnico toscano). Ha due occhi con due colori diversi, come gli fece notare un compagno di squadra quando ancora giocava e con le donne ha sempre avuto successo. Oggi racconta così la sua vita al Corsera.

“Sono un malato cronico ai polmoni e ai bronchi e ho due stent al cuore. Le mie giornate sono pigre, ritmi alti non ne posso tenere. Quando esco lo faccio con la sedia a rotelle, perché mi si è spostata una vertebra e dopo la cementificazione mi ero montato la testa e sono scivolato dal letto, fratturandomi il femore. Sono tutto rotto, ma il vero problema resta il respiro: per parlare senza affaticarmi devo usare l’ossigeno“.

Nel 2018 ha rischiato realmente di morire: “Sì, ma quello che mi tormenta è il coma farmacologico di circa venti giorni: ho incontrato chiunque sotto gli effetti dei farmaci. Sembrava così reale che mi causa ancora dei tormenti. Ho incontrato anche Dio sotto mentite spoglie, ma è stato un po’ deludente perché mi ha trattato con molta sufficienza”.

Le nottate di Nainggolan e Maicon

Il calcio gli manca, sempre (“Aspetto ancora qualcosa dal calcio: devo prendere e dare. Anche se il calcio mi ha devastato”) e potesse rientrerebbe nel giro oggi stesso. Di aneddoti da raccontare ne avrebbe per scrivere una collana di libri. Solo sulla Roma ci sarebbe da scrivere per migliaia di pagina. Lui ricorda: “Presi una persona per recuperare un paio di giocatori alle 3 del mattino in giro per Roma: il mattino dopo, a Trigoria, lui doveva intercettarli, portarli in uno spogliatoio a parte, fargli fare una doccia e bere un caffè. Capitava sempre con Maicon e Nainggolan, forse il centrocampista più forte che ho avuto, però testa di c… notevole: aveva l’obbligo di chiamarmi all’una di notte, ma mi prendeva in giro alla grande. Però non ha mai saltato un allenamento o una partita».

Il suo rimpianto, disse in una recente intervista, è l‘aver lasciato l’Inter quando era consulente di Suning, forse per questo non ammira Marotta: «Io provo affetto per lui, perché quando giocavo a Varese era un ragazzino che si allenava con noi ed era bravo. Ma non sono un suo ammiratore: non sono come lui Io sono un provocatore, litigioso. Lui aggiusta sempre tutto. Io mi sono dimesso circa venti volte dal mestiere che amo, Marotta non lo avrebbe mai fatto. Ma io sono vittima di me stesso, col mio cervello di sinistra e il mio corpo di destra».

La lite con Zeman

Sempre a Roma si scontrò con Zeman: mai ricucita la rottura col boemo: «So che è stato male e gli mando un abbraccio. Però non c’è tanto da chiarire. È stata una delusione capire che avevo ragione: i suoi famosi silenzi sono dovuti al fatto che non ha molto da dire. Gli facevo domande sui carrarmati a Praga nel 1968 per capire lo stato d’animo di un Paese: zero. Ma come allenatore, alcune cose che gli ho visto fare sono di alto livello. I risultati con lui erano altalenanti ma si è visto il miglioramento netto di giovani che ha avuto il coraggio di far giocare, costruendo il presupposto per notevoli plusvalenze come Lamela e Marquinhos».

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