A scoprirlo fu Luciano Moggi, che all’epoca era ancora un dipendente delle Ferrovie dello Stato ma era già il responsabile del settore giovanile della Juve per il Lazio e le Marche. Franco Causio – che oggi festeggia il suo 70esimo compleanno – giocava nella Sambenedettese e fece il provino con i bianconeri. “Dopo un quarto d’ora venne una persona e mi disse “Basta, vai a farti una doccia”. C’era a bordo campo l’allenatore e io gli chiesi: “Ho fatto qualcosa di sbagliato ?” e lui: “No, hai fatto fin troppo bene”. Poi vennero a vedermi la domenica successiva durante Sambenedettese-Bari, feci una grande partita e da lì presi la via per Torino”. Lì, partito dalla sua Lecce dov’è nato, divenne il Barone. Soprannome ideato da un giornalista di Torino, Fulvio Cinti, perché diceva che aveva stile in campo e fuori. “A me, però, piaceva anche il soprannome “Brazil”, inventato da un altro giornalista, Vladimiro Caminiti”. Della sua prima stagione alla Juve resterà immortale la gara con l’Inter, quando il 23 aprile del 1972 , in una partita chiave per lo scudetto, compie il suo capolavoro. All’8′ devia di testa in rete un cross del tedesco Haller e sorprende Lido Vieri sfiorando il montante. Venti minuti dopo Capello recupera una respinta incerta di Burnich, appoggia ad Haller, cross del tedesco e splendido colpo al volo del Barone. Inter – Causio 0-2. Per entrare nella storia, però, ha bisogno di un altro gol. Lo trova a 5 minuti dalla fine. Stavolta fa tutto da solo: stop a rientrare e tiro fulminante e rampante… del Barone.
CONTA SOLO VINCERE – Ha scritto un libro “Vincere è l’unica cosa che conta”. Titolo suggeritogli da Boniperti: «Il presidente ci diceva così il lunedì quando sfogliava assieme a noi i giornali. Leggeva giudizi, pagelle e poi, appunto, concludeva con quella frase. Che a ben pensarci, è sempre valida, anche se a me è sempre piaciuto, oltre a vincere, divertirmi e divertire. Solo che nello sport senza vittoria il divertimento scarseggia. Boniperti era un vincente, ma lo era anche l’avvocato Agnelli. Quante volte mi ha telefonato a casa alle sei del mattino per parlare della partita…». In bianconero è rimasto 11 stagioni tra il ’70 e l’81 mettendo assieme 447 presenze e 72 gol. In bacheca sei scudetti, una Coppa Uefa e una Coppa Italia. Con la Nazionale 63 gettoni e 6 gol, subentrando al Bernabeu l’11 luglio 1982, nella finale Mundial. E nella leggenda resterà sempre anche la celebre partita a scopone sull’aereo che li riportava in Italia, con Zoff, Bearzot e Pertini: “Il presidente voleva giocare. Io ho chiesto di stare col Vecio, lui ha scelto il capitano, Zoff. Abbiamo vinto grazie a una mia mossa, estrosa come quelle che facevo in campo e anche lì c’è stato di mezzo un 7, il mio numero, che ho calato al momento giusto. Che uomo Pertini! Un anno dopo era in visita a Udine e ha mandato un’auto dei Carabinieri a prendermi, per stare tutto il pomeriggio con me. Mi sto allenando al Moretti, il vecchio stadio di Udine, adesso non c’ è più. Arriva una gazzella dei carabinieri, un capitano corre dall’allenatore Enzo Ferrari. Mi guardano e Ferrari mi chiama: “Barone, vogliono te”. “Me?”. Sono un po’ sorpreso e preoccupato. Il capitano mi dice a bassa voce: “Causio ci segua, il presidente Pertini vuole vederla”. Siamo stati insieme tutto il giorno, a mangiare in una trattoria del centro, a parlare di calcio e di vino, della Spagna, della Juve e del mio futuro. Mi disse: “Sei bravo, bravo, spero che tu diventi anche un buon allenatore”».
LE GAFFE – Di quella celebre partita a scopone però si ricorda un altro aneddoto curioso. In una Domenica Sportiva era ospite in collegamento Causio e in studio c’era Zoff, si parlava di Bearzot e il conduttore rievoca quella sfida sull’aereo, ricordando la figura di Pertini che era scomparso negli anni precedenti: “Peccato non poter rifare quella partita”. E Causio, sicuramente in buona fede e inconsapevole della gaffe, disse: “Potremmo fare un tressette col morto”. Non era nuovo il Barone a certe uscite, una volta a Cesena chiese una camera con vista mare. Un’altra volta si lamentò per un gol fallito da un compagno: “Ti avevo fatto un assist pennellato, sembrava un quadro di Pirandello”.
L’INTER PRIMA DI CHIUDERE – Già perché dopo la Juve arriva la parentesi all’Udinese, dove diventa un idolo: «Mi volevano Inter e Napoli, ma il cartellino allora era in mano alle società. Mi proposero l’Udinese, accettai subito dopo un colloquio a Milano con Dal Cin. Fu di nuovo la mia fortuna. Arrivai a vincere il Mondiale con la maglia dell’Udinese addosso e mi rilanciai. E pensare che l’affare rischiò di saltare: Dal Cin arrivò in grande ritardo all’apputamento, un minuto ancora e non avrei firmato quel contratto». L’ultimo anno a Udine, stagione 1983/84, è memorabile. Lo gioca spalla a spalla con Zico, un duetto tutto brasiliano. Poi nell’84 fa un anno all’Inter prima di chiudere con una stagione al Lecce, scelta soprattutto per esaudire un desiderio di suo padre, e altri due anni a Trieste in B. Ultima partita in A? Proprio contro la Juve, il 27 aprile 1986, il giorno della conquista dello scudetto ventidue dei bianconeri.