Forse è rimasto qualcosa di quel ragazzo di provincia, dei suoi sogni e delle aspirazioni di una famiglia che non si azzardava a immaginare i successi raccolti nella carriera da calciatore e, poi, da allenatore di Carlo Ancelotti, talento reggiano rimasto orgogliosamente emiliano.
Ha pianto, si è sciolto in lacrime quando ha dovuto esternare le sue sensazioni da neodottore honoris causa in Scienze e Tecniche delle Attività Motorie preventive e adattate, laurea magistrale conferita dall’Università di Parma.
- Carlo Ancelotti, laurea honoris causa Università di Parma
- La carriera da calciatore e da tecnico
- Il discorso di Ancelotti
Carlo Ancelotti, laurea honoris causa Università di Parma
La cerimonia si è tenuta martedì 11 ottobre all’Auditorium Paganini, davanti a un pubblico di cinquecento spettatori, tra i quali studenti ed estimatori dell’attuale allenatore del Real Madrid. Un pubblico schierato senza riserve dalla sua parte, dalla parte di chi ha sempre riuscito a intessere una relazione speciale all’interno dello spogliatoio e ha costruito team di esemplare compattezza rispettando il suo stile, sempre pacato e distante dalle polemiche.
La sua è stata un’emozione vera, autentica. Dopo il discorso di apertura del rettore Paolo Andrei, che ha tracciato il percorso sportivo di Ancelotti, c’è stata la Laudatio pronunciata da Marco Vitale e Luigi Garlando, e quindi la Lectio Doctoralis dell’attuale allenatore del Real dal titolo “Il calcio, una scuola di vita”.
Un discorso a valle della consegna della laurea magistrale ad honorem che ha toccato i partecipanti.
In sala erano presenti amici, colleghi o semplici ammiratori di Ancelotti: Arrigo Sacchi, Ariedo Braida, dal tecnico del Parma Fabio Pecchia (che ha donato a Carletto una maglietta crociata) a Vincenzo Pincolini, storico preparatore atletico del Milan e amico di Carletto da una vita.
Ancelotti con la maglia dell’Università di Parma consegnata dal Magnifico Rettore
La carriera da calciatore e da tecnico
L’allenatore ha ricordato i suoi esordi da calciatore al Parma, la famosa doppietta realizzata nello spareggio contro la Triestina per la promozione in Serie B nel 1979, poi l’approdo alla Roma, quindi al Milan e l’avvio della seconda carriera, quella da allenatore che ha amato e alla quale, probabilmente, ha donato innovazione e soluzioni.
Ancelotti ha aperto, attraverso la sua memoria, uno spaccato sulla sua esistenza segnata dai rituale di una terra contadina, ancorata alle certezze della campagna di Reggiolo: ha desiderato e cercato di condividere la sua esperienza, la sua storia quando ha ripercorso gli anni dell’infanzia, le partite di pallone all’oratorio, gli insegnamenti di papà Giuseppe e mamma Cecilia.
Il discorso di Ancelotti
Quando ha espresso i ringraziamenti – dovuti, eppure coinvolgenti – alla sua famiglia si è abbandonato al pianto, la voce si è affievolita fino a spezzarsi quando ha citato i 5 nipoti che gli ricordano un presente costruito, vissuto, ancora intenso e pieno di nuovi orizzonti.
“Siamo una famiglia geneticamente predisposta alla commozione, quindi in un momento tanto emozionante è normale che reagisca in questa modo”.
“Il talento è un fatto di genetica, non lo si può allenare. Fare calcio mi ha aiutato a migliorare la relazione con gli altri, mi ha aiutato ad avere rispetto per le regole, per gli avversari e per i compagni”. E ancora: “Essere un allenatore significa soprattutto saper ascoltare gli altri, i collaboratori e i giocatori, e poi prendere delle decisioni. Io cerco di trasmettere le mie idee attraverso la persuasione, e non imponendole. Sono calmo, tranquillo, paziente. Molto paziente. E, soprattutto, ho la fortuna di essere sorretto da una grande passione per questo sport. Una passione che avevo a quindici anni e che ho ancora oggi”.
Carlo Ancelotti durante la Laudadio
In prima fila ad applaudire Arrigo Sacchi, al quale Ancelotti ha rivolto una riflessione che porta oltre il rettangolo del campo: “Arrigo è stato un marziano. Ha avuto la forza e il coraggio di innovare in un ambiente che era un po’ indietro, molto ancorato alla tradizione”.
Al termine della cerimonia Ancelotti, che era accompagnato dalla moglie Marianna, è rientrato a Madrid. “Se non sto sul campo, non mi diverto”, la summa filosofica che ha consegnato ai giovani che lo hanno applaudito. Fino all’ultima lacrima, in questa giornata di gioco e di vita.