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Basket, i 40 giorni in cui Luca Banchi ha cambiato (in meglio) la Virtus Bologna

Arrivato a metà settembre, il coach ha cambiato il destino della Virtus Bologna: ha puntato sul gruppo, rilanciato giocatori sfiduciati (Lundberg su tutti) e cominciato a vincere.

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Roberto Barbacci

Roberto Barbacci

Giornalista

Giornalista (pubblicista) sportivo a tutto campo, è il tuttologo di Virgilio Sport. Provate a chiedergli di boxe, di scherma, di volley o di curling: ve ne farà innamorare

Un mese e mezzo fa si godeva glorie e onori dopo un mondiale nel quale tutti, ma proprio tutti si erano lasciati incantare dalla bravura e dalla qualità del gioco mostrata dalla Lettonia. Arrivata a centimetri dalle semifinali, ma rimasta impressa nella memoria come la miglior squadra del torneo (e il premio di miglior coach se l’è giustamente portato nella vetrina di casa).

Ma un mese e mezzo fa Luca Banchi non poteva sapere cosa gli avrebbe riservato il futuro, che per certi versi è anche qualcosa di meglio di ciò che aveva raccontato l’estate ormai al crepuscolo. Accorso al capezzale di una Virtus Bologna in piena crisi d’identità, con Sergio Scariolo messo alla porta dopo mesi di incomprensioni, s’è preso la peggiore delle gatte da pelare.

Una squadra apparentemente scarica, con gente in là con la carta d’identità e una sensazione di debolezza nei confronti dell’altra grande del basket italiano, che poi Banchi conosce bene per averla allenata in passato (leggi Olimpia Milano). Insomma, niente che lasciasse presagire qualcosa di buono. Una missione (quasi) impossibile, alla quale però il campo ha risposto in modo completamente inatteso. Tanto che un mese e mezzo dopo un’intera città è ai piedi di Luca Banchi.

Dal bagno di folla di Riga al treno nell’Appennino

Quando tornò con la Lettonia dal mondiale, ad attendere squadra e staff tecnico c’erano due milioni di persone. Molti di loro erano bambini che avevano visto interrotte le normali attività scolastiche del mattino per assistere tutti assieme alle partite della nazionale. Banchi, insomma, l’amore per il gioco l’aveva rinsaldato a dovere, ed è questa la prima cosa che ha portato a Bologna.

Dove c’era bisogno di cambiare aria: il pessimismo cosmico delle ultime settimane aveva creato tensioni e malumori, perché a detta di qualcuno (Scariolo in primis, per la verità) questa squadra era stata ridimensionata nelle ambizioni e depotenziata nella qualità del roster.

Banchi di tutto questo se n’è fatto beffe: ha avuto giusto il tempo di fare un salto a casa sua, in Toscana, per salutare moglie e parenti, poi s’è diretto in treno verso l’Emilia, attraversando l’Appennino. E lì ha cominciato a lavorare, senza fare proclami, toccando però le corde giuste.

Così ha ridestato Belinelli, uscito un po’ imbronciato dalla serie scudetto persa contro Milano. Ha convinto Shengelia che poteva essere ancora un top a livello continentale (e per ora ha avuto ragione lui), ha ripescato dal cancello di casa Iffe Lundberg, che aveva già la valigia in mano. Di più: ha convinto un gruppo minato nelle certezze e nella considerazione proveniente dall’esterno che quelle voci dovevano rappresentare il carburante per zittire tutti. E ha messo tutti sullo stesso piano, perché si vince e si perde insieme.

Vincere aiuta a vincere: 12 vittorie in 13 gare

Le vittorie hanno aiutato, soprattutto quella al debutto contro Milano in Supercoppa. Ma la mano di Banchi strada facendo s’è cominciata a vedere, lasciando intendere che davvero questo gruppo abbia compreso la chiamata “alle armi” che il tecnico ha professato, seppur entrando in punta di piedi.

La Virtus negli ultimi 40 giorni ha dimostrato di essere ancora una squadra da corsa: ha vinto 12 delle 13 gare disputate, cedendo soltanto allo Zalgiris nel debutto europeo, per giunta in una gara tenuta sotto stretto controllo fino a 4’ dalla fine. Una lezione che è servita per non ripetere certi errori in altri finali di partita, anche se nelle successive 5 vittorie raramente si è arrivati a finali punto a punto.

Perché Bologna ha dominato a Monte Carlo, regolato senza troppi affanni la pratica Alba, tenuto a bada la Stella Rossa dell’ex Teodosic, vinto d’astuzia a Villeurbanne nel giorno del debutto di Pozzecco e poi stravinto ieri sera contro l’Efes, dominato nel terzo periodo dopo aver inseguito fino all’intervallo lungo. Dominio esteso anche sul suolo italiano, unica squadra a punteggio pieno con Venezia dopo 5 giornate (più le due vittorie in Supercoppa). Roba da stropicciarsi gli occhi.

Il coraggio e l’intuizione di Massimo Zanetti

Banchi è un uomo al quale piace lavorare in silenzio, senza dare troppo nell’occhio. In panchina certo si scalda, perché lui le partite le sente, eccome. Ma quel che è riuscito a trasmettere in poco tempo alla Virtus è qualcosa che non si trova sui “banchi” (appunto) del mercato, né sul quale si può lavorare in palestra, come si fa per migliorare un jumper, un fade away o un movimento sotto canestro.

Banchi è uno che sta vivendo un momento felice, ma che non si monterà per questo la testa. È un gran lavoratore, oltre che gran motivatore: chiedere a Jaleen Smith, a Jordan Mickey, allo stesso Lundberg, gente rigenerata proprio dall’arrivo del coach di Grosseto. Che peraltro ha dovuto fare i conti anche con lo stop forzato di Achille Polonara, auspicando di rivederlo presto in campo. Se tutto il mondo oggi volge lo sguardo verso Bologna, c’è molto del suo estro e della sua passione.

Massimo Zanetti a metà settembre era un uomo “ferito” dalle continue frecciate ricevute da un altro allenatore al quale però si poteva solo essere riconoscenti. Ha avuto il coraggio di mettere un punto, e andare a capo. Ha avuto l’intelligenza di capire che quello era il momento giusto per “cambiare barca”: Banchi c’è salito al volo, e con lui tutta la squadra. Che adesso fa sognare, perché una Virtus così è qualcosa che nessuno sul finire dell’estate avrebbe mai solo osato immaginare.

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