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Binaghi: "Sinner meglio di Alcaraz". Ma è proprio così? Il confronto negli Slam è impietoso

Partendo dalle parole di Binaghi, che ha detto di preferire Sinner ad Alcaraz, facciamo un primo - vista la loro ancora giovane età - confronto tra i due fenomeni pronti a dominare il tennis nei prossimi anni

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Matteo Morace

Matteo Morace

Live Sport Specialist

La multimedialità quale approccio personale e professionale. Ama raccontare lo sport focalizzando ogni attenzione sul tempo reale: la verità della dirette non sono opinioni ma fatti

Carlos Alcaraz si è confermato campione a Wimbledon battendo nettamente in finale Novak Djokovic per il secondo anno consecutivo. Un successo che conferma la grandezza di Carlitos, un predestinato fuori dal comune che a 21 anni conta già quattro slam in bacheca – conquistati su tre superfici differenti – oltre ad altri 11 titoli e a essere stato il più giovane di sempre a salire in vetta al ranking. Nonostante questo, il presidente della FITP (Federazione Italiana Tennis e Padel), Angelo Binaghi, ha affermato di continuare a preferire Jannik Sinner allo spagnolo, un’affermazione che, lasciando fuori le questioni di tifo, non sembra trovare, almeno per ora, grande riscontro nella realtà.

Le parole di Angelo Binaghi

Queste le parole rilasciate da Angelo Binaghi a La Politica nel pallone, programma di Radio Rai Gr Parlamento: “Il confronto tra Sinner e Alcaraz lo vedremo decine e decine di volte in futuro. Carlos lo abbiamo già sconfitto con Sinner e una volta con Musetti. È senza dubbio un campione, ma i numeri uno oggi siamo ancora noi. Per come la vedo io, anche il giorno dopo il successo di Alcaraz a Wimbledon, tra Carlos e Jannik mi tengo Jannik tutta la vita, ritengo che possa crescere maggiormente”.

Sinner-Alcaraz, un confronto sbilanciato se si guarda agli slam

Le frasi di Binaghi appaiono un po’ come quelle del tifoso che elogia sempre il proprio beniamino, ma anche come quelle di un papà che difende e stravede per i propri figli. Detto questo, al momento il confronto tra Sinner e Alcaraz è certamente sbilanciato in favore dello spagnolo – forse il giocatore di tennis più completo che si sia mai visto alla sua età -, soprattutto se si guarda ai risultati negli slam, i tornei più importanti dello sport della racchetta.

Dopo l’incredibile fine di 2022, quando conquistò il primo titolo dello slam allo US Open e divenne il più giovane n°1 ATP di sempre, molti si chiedevano se il teenager Alcaraz sarebbe riuscito a mantenersi su quei livelli. Bene, a distanza di quasi due anni possiamo azzardare una prima risposta: no, si è enormemente migliorato. Perché se il successo a New York è stato anche un po’ favorito da alcune condizioni esterne allo spagnolo – un Sinner ancora un po’ insicuro e sprecone, l’assenza di Djokovic e di altri potenziali protagonisti e un tabellone non impossibile -, lo stesso non si può dire dei suoi tre trionfi successivi.

Interrompere l’imbattibilità che durava da 10 anni di Djokovic sul centrale di Wimbledon e farlo in finale, non è una cosa da tutti, soprattutto perché Alcaraz ci è riuscito avendo pochissima esperienza sull’erba e in un momento in cui Nole appariva ancora imbattibile – come dimostrato dal successo di due mesi dopo allo US Open. In più Carlos ci riuscì non giocando nemmeno il suo miglior tennis: nonostante i cinque combattuti set, quella finale non rimarrà certamente nella storia come una delle tecnicamente più belle dei Championships. Alcaraz se la aggiudicò vincendo quella che alla fine era diventata una vera e propria battaglia di nervi, da sempre il pane quotidiano del serbo.

Nel 2024 Alcaraz si è poi superato, vincendo Roland Garros e Wimbledondominando Djokovic in finale – ed entrando nel ristrettissimo club dei giocatori capaci di conquistare entrambi i tornei nella stessa stagione assieme a Rod Laver, Bjorn Borg, Rafael Nadal, Roger Federer e lo stesso Nole. Questi ultimi due trionfi, soprattutto quello sul rosso, ci hanno dimostrato ancora una volta la sua incredibile capacità di adattamento, di crescita e di vincere quelle battaglie sporche come solo i grandissimi campioni sanno fare. Al contrario Sinner, che dalla sua ha anche due anni in più, ha evidenziato ancora qualche limite quando le sfide si allungano e diventano più tese, cosa successa sia a Parigi proprio contro Carlitos, sia a Londra contro Daniil Medvedev, e il solo successo agli Australian Open – unico a mancare nel palmares dello spagnolo – è troppo poco per poter reggere il confronto con il murciano.

Gli scontri diretti tra Sinner e Alcaraz: spesso vince chi insegue

Per quanto siano certamente i tornei e gli appuntamenti più importanti, gli slam non sono tutto nel tennis e quando si confrontano due giocatori è molto interessante analizzare anche gli scontri diretti, che nel caso di Sinner e Alcaraz ci raccontano una supremazia dello spagnolo, anche se molto meno evidente rispetto a quella negli slam. Carlos comanda infatti con cinque (sei se si conta quello del 2019 a livello Challenger) successi a quattro: ma analizzando meglio tutte le volte che i due si sono affrontati, si scopre come a vincere sia praticamente sempre stato chi in quel momento si ritrovava a inseguire, nel ranking o nei recenti successi.

Nel 2021, anno dell’esplosione di Sinner, Alcaraz – che invece si era da poco affacciato nel circuito maggiore – vinse in due set al Masters 1000 di Parigi-Bercy, indicando l’altoatesino come uno degli esempi da lui seguiti. Dei successivi otto confronti solo tre sono stati vinti da chi si trovava davanti nel ranking, ovvero quello allo US Open del 2022 e quelli a Indian Wells 2023 e 2024 – con l’ultimo nel deserto californiano dove, nonostante il ranking, a essere nettamente favorito era comunque Sinner, ancora imbattuto a quel punto della stagione -, tutti conquistati da Carlos.

Questo ci dimostra che la rivalità tra i due esiste per davvero, e non solo sui giornali, e che aiuta entrambi a tirare fuori il meglio, a spronarsi a vicenda come testimoniano le bellissime battaglie a cui hanno dato vita, favorendo spesso chi si ritrova a inseguire, come le scie nelle competizioni motoristiche. Ma ci dimostra anche che Alcaraz nel momento del bisogno è forse più bravo a reggere il peso della pressione che deriva dall’essere il “migliore”.

Talento contro consistenza: chissà cosa ci riserverà il futuro

In conclusione si può tranquillamente affermare che al momento Alcaraz ha dimostrato di essere un giocatore superiore a Sinner, ma non è detto che questa verità duri per sempre. Carlos ha un talento e una completezza di colpi, così come una mentalità vincente, certamente superiore a quelle di Jannik, che da parte sua può però vantare una maggior consistenza di rendimento e una crescita più lineare, fatta meno di scossoni, che gli hanno permesso di salire meritatamente in vetta al ranking con ben più punti di quanti ne aveva lo spagnolo quando ci riuscì la prima volta (9525 a 6460) e in un momento in cui il tennista con più settimane al n°1 ATP, Djokovic, non era obbligato a saltare un torneo dietro l’altro.

Senza entrare nella discussione sul GOAT del tennis – a ognuno il suo, a tutti il piacere di aver visto i Fab3 darsi battaglia per oltre un decennio -, è innegabile che Djokovic, contro ogni previsione iniziale, sia riuscito a sorpassare Roger Federer e Rafael Nadal sotto molti punti di vista, in primis quello dei successi. A rendere possibile ciò non è stato il fatto che Nole abbia superato in talento i suoi rivali, ma principalmente per la sua capacità di lavorare sui propri punti di forza (anche nel suo caso la consistenza) per accrescere la propria consapevolezza e poi di lavorare anche sugli altri aspetti per ridurre il gap con Roger e Rafa.

I veri margini di crescita di Alcaraz e Sinner non li conosce nessuno, ma è difficile pensare che abbiano già raggiunto il loro picco così giovani, motivo per cui ci si aspetta che entrambi continuino a crescere, regalando a Jannik la chance di ribaltare l’esito di questo confronto. per farlo però dovrà fare tesoro dell’esempio Nole, perché la mano, i colpi e, soprattutto la mentalità e la capacità di reggere nei momenti più complicati, si acquisiscono sempre più con il passare di partite, tornei e stagioni. Detto questo, per la prima volta l’Italia non è costretta a cercare in casa altrui un campione di primissimo livello, e su questo Binaghi ha pienamente ragione.

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