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Boxe, Tyson Fury annuncia il ritiro: "Ho amato ogni istante, grazie a tutti". Niente sfida con Joshua

Oleksandr Usyk si conferma campione dei massimi: vince anche la seconda sfida contro Fury, stavolta con verdetto unanime. Ora la sfida con Dubois

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Roberto Barbacci

Roberto Barbacci

Giornalista

Giornalista (pubblicista) sportivo a tutto campo, è il tuttologo di Virgilio Sport. Provate a chiedergli di boxe, di scherma, di volley o di curling: ve ne farà innamorare

Stavolta il gong è suonato per davvero, e per l’ultima volta: Tyson Fury ha appeso i guantoni al chiodo, come più d’uno aveva sospettato dopo che anche il secondo atto della saga contro Oleksandr Usyk l’aveva visto scendere dal ring sconsolato e un po’ arrabbiato per la decisione unanime (a suo dire ingiusta) decretata dai giudici. Il Re Gitano ha capito che quella sarebbe stata l’ultimo frame della sua carriera e ha soltanto voluto far passare le feste prima di rendere partecipe il mondo di una decisione ormai nell’aria da tempo, complice l’età (36 anni compiuti lo scorso agosto) e anche qualche passaggio a vuoto che nel finale di carriera gli ha rovinato una media altrimenti intonsa.

Un semplice messaggio per dire basta: “Sarò breve e dolce”

Perché Fury lascia dopo 37 incontri da professionista, di cui 34 vinti (24 prima del limite), uno pareggiato e due persi, tutti contro Usyk, tutti negli ultimi 7 mesi della sua avventura. Una vita spesso sopra le righe, con qualche dipendenza che ne ha costellato alcuni momenti, che pure non ne hanno intaccato l’immagine di padre premuroso (ha 7 figli) e di combattente indomito.

L’unico vero rimpianto, forse, quello di essere arrivato a giocarsi i match più importanti dell’intera carriera nel momento in cui aveva già offerto il miglior lato di sé. “Ho amato ogni singolo momento di questo percorso”, ha affermato Tyson in un reel col quale ha reso partecipi milioni di appassionati della sua decisione di appendere i guantoni al chioso. “Sarò breve e dolce: vorrei annunciare il mio ritiro dalla boxe. È stato fantastico, ho amato ogni singolo minuto. Dio benedica tutti, ci vediamo dall’altra parte, forza!”. Fury ha poi aggiunto: “Dico grazie a tutti coloro che mi hanno aiutato durante il cammino. Gesù è il Re. Quello Gitano però resterà per sempre lui, almeno applicato al mondo del pugilato.

La carriera: nel nome un destino da futuro campione

Nato a Manchester il 12 agosto 1988, Fury è cresciuto in una famiglia di pugili (il padre John e pure il cugino Andy Lee) e il nome di battesimo è diretta eredità dell’altro Tyson, cioè Mike, che quando è nato alla fine degli anni ’80 spopolava sui ring di mezzo mondo. Un destino da predestinato, insomma, passato per una carriera “selvaggia” tra i dilettanti (clamorosa la mancata convocazione per le Olimpiadi di Pechino 2008: risultati alla mano, nessuno avrebbe potuto ambire alla medaglia d’oro meglio di lui, ma Cammarelle ringrazia…) e una repentina ascesa tra i professionisti, dove è passato proprio nel 2008.

Il primo titolo (Pesi Massimi Britannici) nel 2009 contro John McDermott ne ha rivelato le aspirazioni, il secondo (Pesi Massimi del Commonwealth) nel 2009 contro Dereck Chisora lo ha posto come uno dei maggiori prospetti per i titoli mondiali. Che non avrebbero tardato molto ad arrivare: nel 2015, battendo Wladimir Klitschko (imbattuto da 11 anni), conquista le cinture WBO, WBA, IBF, IBO e The Ring.

Per essere undisputed gli mancava solo quella WBC, ma problemi di tossicodipendenza portano le varie sigle a togliergli ogni titolo conquistato a partire dal 2016, cui si aggiungono due anni e mezzo di lontananza dal ring per una positività al nandrolone. Fury lotta contro i suoi demoni, va in rehab e riesce a rialzarsi, tanto che nel 2020 quel titolo WBC che mancava alla sua collezione lo conquista per davvero, battendo Deontay Wilder (l’unico che sino a quel momento era riuscito a strappare un no-contest col Gipsy King). Conquisterà anche la rivincita l’anno dopo, quando a sorpresa annuncerà il primo ritiro. Tornerà sui suoi passi affrontando di nuovo Chisora, grande rivale di inizio carriera, battendolo nettamente.

La saga con Usyk e un lieto fine mancato

Con 33 incontri vinti e un pari, a Fury mancherebbe solo un ultimo grande desiderio: riunificare tutti i titoli dei massimi e chiudere imbattuto. Per farlo deve passare però per la sfida contro Usyk, che nel frattempo ha mandato al tappeto Anthony Joshua, l’altro grande pugile britannico del decennio (che curiosamente non combatterà mai con Fury: un peccato, pensando a quel che ne sarebbe potuto scaturire).

Dopo mesi di rinvii e illusioni, alla fine Fury si convince ad affrontare Usyk, non prima di un incontro esibizione con Ngannou che lascia più dubbi che certezze. Tra infortuni in allenamento e altre grane, i due match della saga con Usyk non tradiscono le attese, ma mostrano un Re Gitano sul viale del tramonto, forte nei primi round dei due match, ma incapace di portare colpi pesanti e di resistere al ritorno del rivale. Due sconfitte ai punti (onorevoli, va detto) sanciscono la fine dei sogni di gloria: si parlava tanto di un possibile match con Joshua, ma la sensazione è che stavolta il ritiro sia definitivo. Anche se la legacy di Fury non si eclisserà tanto facilmente, e alla boxe mancherà tanto.

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