Buffon a nudo. Anche se parla di vestiti, di moda, di look oltre che della porta unica amica. Intervistato da Vincent Duluc per Sport&Style l’ex portiere della Juventus, oggi al Psg, racconta passaggi inediti e i privati. Partendo dai gusti nel vestire, compresa la divisa del portiere: “Ho sempre amato il nero”. Un po’ come il ragno Nero, il celebre Lev Yaschin. Ma la sua vera passione era quella per i supereroi, come Superman: “Questo è vero, in parte. Volevo essere diverso dagli altri. Volevo il mio costume particolare, i miei guanti, il mio cappello. Sono stato anche uno dei primi a voler indossare la maglia della squadra, a Parma: quando giocavamo a casa, indossavo la maglia esterna e viceversa. Era il mio modo di dimostrare che volevo far parte della squadra. Le maniche non dovevano mostrare i muscoli o altro: è per comodità, per sentirmi più a mio agio. E ho più sensazioni quando la palla tocca i miei avambracci”.
STILE D’AUTORE – A Gigi Buffon è sempre piaciuto lo stile e, se non è sempre stato lo stesso, è sempre stato uno stile. E non è proprio come essere alla moda in un ambiente in cui i giocatori di 40 anni non esistono, in teoria: “Mi piace avere il mio stile. Cinque giorni a settimana, sono in jeans e camicia, ma se ne ho l’opportunità, mi piace essere alla moda. Il vero stile è indossare un abito dove ti senti bene. E preferisco essere alla moda che alla moda. Il vero stile dipende da come indossi le cose. Oggi voglio mantenere un aspetto sportivo, anche nello stile, perché sono ancora un giocatore ma ho anche dei figli, ho 40 anni e non posso vestirmi come loro”. Qualche anno fa ha deciso di avere i capelli molto corti. “È molto più pratico, i capelli corti. E poi non voglio che i miei figli mi vedano con i capelli lunghi mentre chiedo loro di tagliarli. È un momento logico della vita, una normale evoluzione di una carriera sportiva tra i 30 ei 40 anni. Quando ero giovane, era diverso, facevo quello che volevo, era più bello e più facile, non seguivo le regole. Ma se ti comporti a 40 o a 20 anni, c’è un problema, sono stato capitano d’Italia, capitano della Juve, ho avuto molte più responsabilità verso il gruppo”.
QUEL’INNO FISCHIATO – Lo stile è anche sapersi ribellare alle cose sbagliate, quel che accadde il 2 settembre 2016, pochi minuti prima dell’inizio della partita amichevole Italia-Francia. Quella sera, il pubblico di Bari inizia a fischiare la Marsigliese dalle prime battute; Buffon immediatamente resiste allo sdegno, per segnalare al pubblico di essere tranquillo, prima di applaudire l’inno francese, da solo in un primo momento, poi raggiunto dai suoi compagni di squadra e da gran parte del pubblico: “I tifosi italiani hanno fischiato la Marsigliese e io ho mostrato la necessità di fare qualcosa. A parte il rispetto da mostrare alla Francia e alla nazione francese, era anche un modo per difendere l’Italia, per dire che il mio paese non era quel popolo che fischiava. Ho la possibilità di conoscere la storia del mio paese, so che c’è un ricordo forte per le tragedie. Io stesso ho un nonno che è morto durante la prima guerra mondiale. Non volevo che nessuno pensasse che l’Italia, fischiando un inno, disprezzasse questa storia, questo ricordo”. Sulla specificità del ruolo di portiere rivela: “Non ci sentiamo protetti: siamo vulnerabili a chi non capisce e influenza l’opinione pubblica. Nessuno sembra davvero capire, ad esempio, che le cose più difficili per un portiere possono essere quelle che non si vedono. Parlare al momento giusto, fare un suggerimento a un difensore che cambierà tutto. Questo ti permetterà di non prendere un gol, cose che solo gli altri giocatori sul campo capiscono. Non è spettacolare, ma è decisivo. Nessuno lo vede, ma lo sappiamo. Quando commetto un errore, sono molto critico nei confronti di me stesso, ma solo alla fine della partita. Durante la partita, continuo, rimango concentrato, altrimenti perdo il filo”.
QUANDO SMETTERE – La vita dei portieri è dura. Un giorno, quando un collega gli chiese cosa avrebbe consigliato a un giovane portiere, ebbe questa risposta: “Fai qualcos’altro”. “Quello che voglio dire è che non dovremmo fare il portiere se non siamo forti, se rischiamo di essere influenzati dai giudizi e dalle critiche degli altri. È molto complicato sul piano mentale: se sei fragile, è meglio evitare di essere un portiere”. E Buffon quando smetterà di esserlo? “Ho imparato negli ultimi anni che sarebbe un errore stabilire un limite. A 32 anni, pensavo di giocare fino a 35 anni. Dopo, le circostanze mi hanno fatto continuare a giocare di nuovo. Mi sono detto: a 38 anni mi fermo. Ma a 38 anni, ho detto: a 40 anni, mi fermo. La vita mi porta ancora qui oggi. Posso fermarmi tra sei mesi, tra un anno, tra dieci anni, non voglio saperlo. Sono sicuro che le emozioni e quella vita che ho conosciuto, anche negli spogliatoi, nient’altro me le darà. Quella vita, il modo in cui l’ho vissuta, non sono sicuro che un giocatore normale l’abbia vissuta. Bisogna accettare il fatto che ci sono diverse fasi della vita, non sarò colto di sorpresa, e io so che tutto sarà completamente diverso”.