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Dalla Sicilia agli Stallions in Kings League, Guccione si racconta nel calcio del futuro

Giuseppe Guccione racconta la sua ascesa tra sogni, sacrifici e nuove regole del gioco: "La visibilità è enorme, ma serve equilibrio. E vi svelo chi sono i due fenomeni che mi hanno impressionato di più"

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Marco Carlotti

Marco Carlotti

Sport Specialist

(Quasi) giornalista pubblicista, marchigiano d’origine ma bolognese - e rossoblù - d’adozione. Osserva il calcio nella sua veste tecnica e tattica, ma ne racconta il lato corporate e di comunicazione strategica

Dalla Sicilia agli Stallions in Kings League, Guccione si racconta nel calcio del futuro

Siciliano, sognatore e interessato al nuovo format social-calcistico che vi abbiamo raccontato quest’anno sulle nostre colonne.

Dalla gavetta nei campi del calcio dilettantistico siciliano fino alla panchina degli Stallions in Kings League Italia. Giuseppe Guccione è l’allenatore che unisce metodo e passione, capace di adattarsi a un format rivoluzionario senza mai perdere di vista i valori del gioco.

Con i suoi Stallions ha sfiorato l’impresa, uscendo ai quarti contro i Boomers di Fedez in una sfida segnata dalle polemiche. In questa intervista ci racconta il suo percorso, le sfide del nuovo calcio iper-connesso e le ambizioni per il futuro.

Fonte: Quality Sport Images/Kings League

Come ti sei avvicinato alla Kings League? E qual è stato il tuo percorso professionale e umano?

“Sono siciliano e da sempre immerso nel mondo del calcio dilettantistico. Fin da bambino sognavo di diventare allenatore. Dopo la laurea in Scienze motorie e l’ottenimento della licenza UEFA B, ho iniziato la gavetta partendo dai settori giovanili fino ad approdare alle prime squadre. Cinque anni fa mi sono trasferito a Milano per lavorare con una società affiliata al Monza. Poi è arrivata Firenze, dove tutt’ora sto studiando per conseguire la UEFA A. A novembre, il direttore sportivo degli Stallions, Francesco Marzano, mi ha contattato e, dopo un’amichevole contro gli Underdogs, è cominciata questa nuova avventura”.

È un progetto in cui credevi subito o hai avuto inizialmente delle riserve?

“All’inizio qualche dubbio c’è stato. Non conoscevo le dinamiche del gioco, né piattaforme come Twitch o Blur. Ho dovuto studiare molto per adattarmi, ma ho capito subito che, a differenza del calcio tradizionale, nella Kings League si può acquisire visibilità in tempi rapidissimi. Serve però equilibrio: chi emerge deve saper gestire la propria notorietà con personalità e umiltà. Ho sempre dato importanza alla gestione del gruppo, imponendo obiettivi chiari, e i ragazzi mi hanno seguito. La Kings mi ha colpito fin da subito, soprattutto per l’intensità del gioco: qui non esistono tempi morti, e questo aumenta l’appeal per le nuove generazioni”.

Come prepari le partite? Preferisci schemi fissi o ti adatti all’andamento del match?

“L’approccio è molto simile al calcio a 11. Dedico molta attenzione alla parte tecnico-tattica, lavorando sugli automatismi e sui cambi da provare in allenamento. Con il mio staff c’è un confronto costante: mi propongono sempre soluzioni interessanti. Il mio modulo di partenza è un 2-3-1, con la possibilità di passare a un 3-2-1. Detto ciò, il ritmo elevato spesso impone decisioni estemporanee: capita di dover inventare sul momento, per gestire il risultato e valorizzare i nostri punti di forza. Rispetto al calcio tradizionale, qui le modifiche in corsa sono molto più incisive”.

Quale aspetto fisico o tecnico curi di più?

“Abbiamo lavorato molto sulla rapidità, fondamentale per pensare e agire prima dell’avversario. In un gioco così veloce, la capacità decisionale è tutto. Con il preparatore atletico abbiamo sviluppato percorsi mirati anche sulla resistenza. Man mano che prendevo confidenza col format, ho investito sempre di più sul sistema di gioco e sulla flessibilità degli schemi durante la partita”.

Qual è il profilo ideale del calciatore da Kings League?

“Ti faccio due nomi che mi hanno impressionato. Conte dei Circus è un giocatore completo: legge benissimo il gioco, sa quando alzarsi o abbassarsi, ha una velocità di pensiero fuori dal comune. L’ho anche detto al mio presidente (ride, ndr): uno come lui farebbe la differenza, anche per dare sicurezza agli altri in fase offensiva. L’altro è Alessandro Colombo: rapido, imprendibile, un talento vero. Due giocatori davvero immarcabili”.

Che idea ti sei fatto della finale? E vuoi commentare la vostra partita persa contro i Boomers?

“Ero certo l’avrebbero spuntata i TRM, una squadra molto interessante e forte sopratutto grazie alla loro solidità difensiva. Quanto al nostro quarto di finale, è ancora una ferita aperta. Abbiamo costruito tanto, ma sprecato troppe occasioni. L’avevamo preparata bene, poi quel gol subito all’ultimo secondo del primo tempo ci ha colpito mentalmente. Il caso “Fedez-Blur” ha complicato tutto: si è visto chiaramente come lo staff e il presidente avversario siano entrati in campo creando confusione. Blur ha provato a calmare gli animi, ma si è generato un parapiglia che ha condizionato ambiente e arbitro. Poco dopo, è arrivato il rigore. Quello che più mi ha infastidito è stato l’atteggiamento, sbagliato e poco educativo per chi segue la Kings, soprattutto da parte di chi conosce bene le dinamiche dello spettacolo. Auguro comunque a tutti buona fortuna per l’esperienza in Francia”.

Vista la centralità dell’aspetto social, come lo gestite tra i giocatori e nello spogliatoio?

“Una volta in campo, penso solo alla partita. E vale lo stesso per i miei ragazzi, a cui durante la settimana vieto l’uso dei social network. Detto questo, la Kings League è nata per il mondo social: chi ne fa parte deve imparare a distinguere tra lato professionale e lato mediatico. Il contorno è iper-social, ed è una dimensione con cui bisogna saper convivere”.

Cosa dovrebbero migliorare gli Stallions per puntare alla vittoria? E cosa serve alla Kings League per crescere come prodotto?

“Gli Stallions hanno lavorato benissimo, soprattutto in fase di draft e nella valorizzazione dei giovani. La Kings è un’ottima vetrina per chi cerca uno spazio alternativo rispetto al calcio tradizionale. Serve però stabilità: riconfermare i Draft e affiancare a questi una Wild di esperienza che resti fissa. A livello di regolamento generale, le Wild dovrebbero essere vincolate: la perdita di Loiodice, nel nostro caso, ha avuto un impatto importante. Il format può crescere ancora, specie lato sponsor e nelle regole di mercato e VAR. In Spagna la crescita è evidente, e anche in Italia i dati di share lo confermano. Mi auguro che venga dato sempre più valore al campionato, magari premiando le prime tre squadre con l’accesso al mondiale. Sarebbe il giusto riconoscimento al lavoro fatto da club e staff”.

Che presidente è Blur?

“Gianmarco è conosciuto come streamer, ma io ho avuto il piacere di conoscerlo anche come persona. È presente, scrive sempre nel gruppo, ha dormito e mangiato con la squadra. Ci ha sostenuto in tutto, senza mai creare tensioni. È una persona molto umile, genuina, che tiene davvero tanto ai ragazzi. Lo ringrazio per la sua vicinanza: è stato un valore aggiunto per il gruppo”.

Vuoi aggiungere qualcosa in chiusura?

“Sì, vorrei ringraziare tutti quelli che mi hanno scritto e sostenuto, specialmente dopo la sconfitta. Ho ricevuto tanti complimenti e pochissime critiche. E vorrei mandare un messaggio ai giovani allenatori: so che è difficile, complicato, e che spesso sembra che nessuno creda in voi. Ma non mollate. Se credete in qualcosa, provateci fino in fondo. Le soddisfazioni arrivano, sempre”.

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