Perché Daniele De Rossi riesca ad unire le curve (Nord e Sud) e a trascinare nella commozione chiunque abbia incrociato il suo cammino risiede nell’eccezionalità del suo talento. Nel suo essere così diverso, mai banale, in un calcio ormai omologato e strafottente. Le sue scelte, giuste o sbagliate che fossero, sono state palesate con il coraggio di chi non teme il giudizio altrui e ha imparato ad aspettare. Attendere che arrivi il momento giusto per l’esordio in Serie A, quando sei poco più di un ragazzino, o che quella fascia da capitano (quella che Totti ha indossato prima di te) sia libera e che quel nomignolo che ti è stato affibbiato come una sorta di condanna, capitan futuro, venga archiviato con il resto.
DDR è un patrimonio messo a fattor comune. DDR è di tutti, ma soprattutto della sua grande famiglia: di sua moglie Sarah Felberbaum, dei suoi figli, Gaia, Olivia e Noah, di suo padre, prima calciatore e poi allenatore legato anch’egli a doppio filo alla Roma. Sarah ha ringraziato e replicato, con la medesima caparbietà che ha forse imparato dal suo numero 16: era in campo anche lei con i loro bambini e la figlia maggiore che Daniele ha avuto dalla ex, Tamara Pisnoli.
De Rossi non è Totti: le scelte sono e saranno sempre diverse, ma nel rispetto reciproco.
Il suo bacio all’Olimpico, da sempre il suo stadio, costituisce un arrivederci a quando i tempi saranno più maturi perché la loro storia torni a essere scritta insieme.
Daniele sorride e sorride a tutti: Ranieri, Florenzi, a Totti, a Bruno Conti che abbraccia e bacia nella commozione generale e con un tributo di fede e di riconoscenza da parte del pubblico di tifosi che non è affatto scontato per la polveriera Roma. DDR, in conferenza stampa, si era presentato con il volto tirato di chi non dorme da giorni. In campo, invece, mostra una consapevolezza che lo rende intoccabile. Le lacrime sono un segno di maturità per chi, come lui, non ha mai rinunciato a essere se stesso. Nel bene e nel male e con la stessa maglia cucita addosso.