Si divertiva a canticchiare “quel fango di Falcone” assieme al nipote di Matteo Messina Denaro e al figlio del boss della Kalsa, Antonino Lauricella, detto “Scintilluni”, come emerse nelle intercettazioni telefoniche del 2011, ma soprattutto ha scontato una pena di tre anni e tre mesi (ottenendo l’affidamento in prova dopo sei mesi di carcere), Fabrizio Miccoli, ex bomber di Palermo e Juventus che oggi si racconta al Corriere della Sera.
- L'odissea giudiziaria di Miccoli
- L'incontro con la sorella di Falcone
- I tre amici nel mondo del calcio
L’odissea giudiziaria di Miccoli
La Cassazione lo ritenne responsabile di estorsione con metodo mafioso, le indagini stabilirono che l’ex capitano rosanero sfruttò le sue relazioni “pericolose” per recuperare un credito di un amico, l’allora fisioterapista del club, in merito alla gestione di una discoteca di Isola delle Femmine. Miccoli si è messo (quasi) tutto alle spalle e si sta rifacendo una vita. Lontano dal calcio, che continua ad amare, senza più gioielli, collane e orecchini vistosi (ma conserva sempre quello sequestrato a Maradona dal Fisco e che ha acquistò all’asta per 25 mila euro: «Certo, nessuno lo tocca. Se avessi potuto glielo avrei restituito, è un mio grande rammarico. Un giorno lo regalerò a mio figlio»).
L’incontro con la sorella di Falcone
Miccoli oggi è un imprenditore del turismo. Con la moglie Flaviana gestisce strutture alberghiere. A volte è lui stesso che va a fare i check in ai clienti, gli capita di andarli a prendere in aeroporto e di consegnare le colazioni. Ha incontrato di recente la sorella del magistrato ucciso dalla mafia, Maria Falcone: “Non c’è stato bisogno di tantissime parole – dice al Corriere della Sera – ho incontrato una donna straordinaria che mi ha accolto con il sorriso. Ero emozionato e anche un po’ intimidito, ma vederla era un desiderio forte per spiegarle ancora una volta il significato di quelle parole. Dirle quanto mi fossi pentito per quelle frasi”.
Il carcere non l’ha dimenticato: «Un giorno lì è infinito. Sto cercando di riprendermi la vita. Cerco di non pensarci più, di allontanare il ricordo che comunque riaffiora. Difficile, ma ci provo. Oggi faccio fatica a parlarne, vorrei mettermela definitivamente alle spalle. È stato un momento difficilissimo, quello è un posto dove mai immagini di stare, non lo auguro a nessuno. Ho sofferto tutti i giorni. Ora sono un uomo libero, ed è una sensazione meravigliosa».
Rimpianti ed errori tanti («Dire sempre di sì a tutti. Sono stato molto ingenuo, troppo disponibile, ma questo è il mio carattere che sto cercando di modificare. Ho sbagliato, ho pagato, ho chiesto scusa, mi dico che ero e resto una brava persona. La porta di casa mia era sempre aperta. Pagavo le bollette a chi non aveva soldi, facevo la spesa a chi non riusciva a mettere il piatto a tavola. Dio solo sa quante aste di beneficenza ho organizzato per i bisognosi») amici pochi.
I tre amici nel mondo del calcio
Miccoli spiega: «Guardi, ai tempi ne avevo diecimila. Oggi sono tre, ma va bene così. Bastano loro, sono fratelli. Mi hanno accompagnato loro in carcere. Loro con me all’andata, loro con me all’uscita: Giovanni Fasano, Pierpaolo Mengoli e Antonio Savoia. Molti sono scomparsi ma forse era naturale che accadesse. Nel calcio poi ci sono conoscenze non amicizie, quindi me lo aspettavo. Devo dire però che quattro, cinque persone mi chiamavano quasi tutti i giorni. C’erano, li sentivo accanto. I nomi? Roberto D’Aversa, Serse Cosmi, Francesco Moriero per esempio: persone che continuo a sentire tuttora anche per lavoro, uomini speciali».