A meno di una settimana dal Giro ci pensa Vincenzo Nibali a scaldare l’atmosfera in vista del via della corsa rosa. Lui che è l’ultimo italiano ad aver alzato il trofeo senza fine, lui che è l’ultimo vero interprete delle corse a tappe che ha saputo regalare gioie al pubblico tricolore. Aspettando che Antonio Tiberi, Giulio Ciccone e Giulio Pellizzari facciano il loro, ecco spiegato il perché Nibali rimanga un totem insostituibile del ciclismo italiano. Uno che quando c’è da parlare anche di temi delicati come il doping non si tira certo indietro.
- "Il doping era una scelta: io l'ho sempre rifiutato, ma molti..."
- "Chissà quanto avrei vinto di più senza avversari dopati"
- "La fama è difficile da gestire: dovevo fuggire da tutto e tutti"
“Il doping era una scelta: io l’ho sempre rifiutato, ma molti…”
L’ha fatto anche in un’intervista esclusiva al Corriere della Sera che non ha mancato di destare clamore. Perché in sostanza Nibali ha ammesso di sapere perfettamente quanto la sua carriera sia stata costellata da confronti con avversari palesemente dopati.
“Onestamente c’è una domanda che non mi sono mai posto, ma della quale so la risposta: quante vittorie ho perso per colpa di ciclisti dopati? Probabilmente tante, perché nella mia epoca fare ricorso al doping era qualcosa di endemico e sistematico. Andavamo a correre come se si andasse in guerra, per quella generazione era una fatto culturale doparsi per cercare di raggiungere determinati obiettivi. Chiaro però che faceva parte tutto di una precisa volontà: se non volevi doparti non lo facevi, punto e basta. E io posso dire di aver scelto quest’ultima via”.
Ricorda soprattutto un episodio, il corridore siciliano: “Quando vinsi la Vuelta, nel 2010, c’era uno corridore, tale Ezequiel Mosquera, che avrebbe potuto tranquillamente battermi, tanto che arrivò a soli 43 secondi al termine delle 21 tappe. Poco dopo fu squalificato per essere stato trovato positivo all’idrossietilamido, una sostanza “coprente”, e prima di terminare la squalifica decise di ritirarsi. Ma cito lui come potrei citarne molti altri”.
“Chissà quanto avrei vinto di più senza avversari dopati”
La piaga del doping attanaglia il ciclismo da sempre, ma nel caso di Nibali s’è spesso rivelata essere un’autentica caccia alle streghe. “Io correvo per l’Astana, dove c’era come dirigente Vinokourov, un corridore con un passato ambiguo. Per questo, essendo io uno dei corridori più in vista dell’epoca, venivo sistematicamente pedinato. Ero un bersaglio “comodo”: più volte sono stato invitato ad aprire la macchina per mostrare cosa c’era al suo interno.
Sono stato pedinato sia negli spostamenti, sia telefonicamente, e addirittura ho ricevuto visite a casa, con gente che veniva a cercare chissà cosa. Una cosa però posso dirla: io non mi sono mai dopato, e se tra 100 anni testeranno le mie provette non ci sarà alcuna sorpresa, perché saranno tutte pulite. Posso andare a testa alta e lo farò sempre”.
“La fama è difficile da gestire: dovevo fuggire da tutto e tutti”
Nibali, nell’intervista rilasciata al Corriere, ha parlato anche delle tante attenzioni ricevute nel corso della carriera, complici anche i tanti successi ottenuti. “Il successo non è mai facile da gestire. Io sono sempre stato uno che non s’è lasciato andare troppo quando c’era da festeggiare. Quando sono diventato più maturo, poi, mi è venuto naturale chiudermi a riccio. Sono passato dall’essere un bambino discolo a un uomo che aveva una missione, e quella missione per me era la bici, che era nei miei pensieri giorno e notte.
Dopo la vittoria del Tour 2014 sono stato travolto dalla popolarità: le richieste da parte di stampa, sponsor e tifosi divennero talmente tante che non riuscivo veramente più a gestire nulla della mia vita. Passeggiavo con mia figlia per strada e venivo assalito. Con mia moglie Rachele cercavamo di fuggire da quel mondo, volevamo davvero essere lontani da tutto e da tutti. Poi alla fine c’abbiamo fatto l’abitudine, ma solo una volta che ho appeso la bici al chiodo posso dire di aver ricominciato a vivere per davvero”.