Vincenzo Iaquinta oggi non gioca più a calcio, ma nel suo passato di attaccante ha indossato le maglie di Juventus, Udinese e della Nazionale e ha alzato, nel 2006, la Coppa del Mondo. Oggi a 41 anni compiuti è costretto a gareggiare per una partita ancora più importante: lotta per ribadire la sua innocenza. “Fino a qualche anno fa ero un campione del mondo. Oggi con mio padre Giuseppe sono vittima della giustizia italiana. Nella mia vita non avrei mai pensato di dovermi difendere da un’accusa tanto infamante…”.
L’appello e lo sfogo sui social di Iaquinta dopo la condanna
Le sue parole sono quelle scelte per iniziare un videomessaggio aperto, pubblicato sui social, dopo la condanna in appello a due anni nell’ambito del processo Aemilia.
Sullo sfondo scelto per il video, Iaquinta indossa la maglia dell’Udinese ed è assieme al padre Giuseppe, imprenditore edile cutrese con base a Reggiolo, nel Reggiano, nei cui confronti i giudici dello stesso processo contro la ‘ndrangheta hanno deciso 13 anni di condanna (sei in meno rispetto al primo grado) confermando l’accusa.
Iaquinta non si arrende alla condanna in appello
“Non mi arrendo alla sentenza – ha sottolineato Iaquinta – sono responsabile moralmente di difendere l’onestà di mio padre. Non mi sono mai sentito tanto solo e scoraggiato nella mia vita come in questo momento. Mi sento deluso perché per la seconda volta mio padre è stato condannato da uomini che non hanno giudicato in base alla realtà dei fatti. Una volta si può sbagliare, due inizia a diventare accanimento giudiziario. Una vita di una persona non può essere distrutta senza aver commesso quello di cui viene accusato”.
Infine l’ex calciatore ha espresso la sua volontà di non fermarsi a questa pronuncia e lottare ancora nelle aule di tribunale contro questa condanna: “Chi mi conosce sa che sono sempre stata una persona riservata. Non posso esimermi ad urlare l’innocenza di mio padre. Lo devo a lui che in questo momento è impotente, incredulo, sfiancato. Lo devo alla memoria di mia madre che si è lasciata morire dal dolore. Lo devo ai miei figli, a chi non ha voce e finisce in questi guai giudiziari pur estranei. Perché non hanno un potere mediatico”.
La conclusione di questo sfogo è stata molto ferma, da parte di Iaquinta: “Oggi sono un uomo stanco, le mie gambe non corrono più. La mia testa corre più veloce cercando una soluzione. Non cerco pietà, un miracolo o la compiacenza di nessuno. Voglio solo giustizia, voglio la verità. Mio padre è in carcere per errore e finché non ammetteranno la verità, che è estraneo a questa accusa, la mia voce non smetterà di urlare la sua innocenza. Da ora io sono Giuseppe Iaquinta, nato a Cutro il 7 maggio 1957. Condannato da innocente”.
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