Continua la repressione del governo di Teheran contro i manifestanti che ormai da 100 giorni protestano in tutte le maggiori città del paese in seguito alla morte della giovane Mahsa Amini, 22 anni, “colpevole” secondo quanto riportato dalla stampa mondiale, di “non aver indossato il velo nella maniera corretta“.
Il più famoso esponente del calcio iraniano, l’ex giocatore e ora allenatore Ali Daei, è uno dei personaggi del mondo dello sport che supportano le proteste e le manifestazioni contro gli ayatollah e il governo religioso. Già vittima di persecuzioni, ad andarci di mezzo oggi è stata la famiglia dello sportivo, con la moglie e la figlia vittime di una bruttissima avventura.
- La famiglia di Ali Daei non può lasciare l'Iran: fermato un aereo con loro a bordo
- Ad Ali Daei era già stato tolto il passaporto
- Chi è Ali Daei, l'ex recordman di gol con una nazionale
- Ad Ali Daei erano già state sequestrate due attività
- Sono ormai 100 giorni di proteste in Iran
La famiglia di Ali Daei non può lasciare l’Iran: fermato un aereo con loro a bordo
Sembra incredibile, ma è così. Le autorità iraniane hanno costretto ad atterrare un volo della Mahan Air, il W563 da Teheran a Dubai, sull’isola di Kish. A bordo dell’aeromobile si trovavano, assieme a molti altri passeggeri, anche la moglie e la figlia dell’ex calciatore, ex recordman per numero di gol in nazionale.
A riportare l’avvenimento è stato, su Twitter, il giornalista di BBC Monitoring Kian Sharifi. La notizia è ripresa anche dal sito Iran International. Sembra comunque che le due donne non siano state arrestate, ma semplicemente non sia loro permesso di lasciare l’Iran. Il Corriere della Sera riporta le parole dell’ex nazionale iraniano:
“Non comprendo questo comportamento. Mia moglie e mia figlia sono salite legalmente sull’aereo a Teheran, e avevano in programma di visitare Dubai per alcuni giorni e poi tornare in Iran. Ma l’aereo è stato costretto a rientrare con tutti i passeggeri. Era una caccia al terrorista?”.
Ad Ali Daei era già stato tolto il passaporto
Le posizioni dell’ex calciatore sono, fin dall’inizio delle proteste, molto dure e polemiche contro il regime di Teheran. Proprio per questo, a ottobre, gli era già stato ritirato il passaporto, rendendolo di fatto prigioniero dello stato islamico.
Ali Daei non ha mai smesso di pubblicare post a favore dei manifestanti e delle donne iraniani, che ormai da 100 giorni continuano a scendere in piazza nonostante le sistemiche violenze della polizia, che spesso sfociano in omicidi veri e propri ai danni di donne che semplicemente esprimono il loro pensiero e la loro voglia di libertà.
Una delle posizioni più forti è stata l’aver messo in dubbio la versione ufficiale per la storia della 16enne Asra Panahi, morta “di infarto” dopo aver rifiutato di cantare a scuola un inno-lode dedicato all’Ayatollah Ali Khamenei, la Guida Suprema dell’Iran. Ripetiamo, 16 anni, morta d’infarto (SEDICI, MORTA DI INFARTO).
Chi è Ali Daei, l’ex recordman di gol con una nazionale
Ali Daei è senza dubbio il calciatore iraniano più conosciuto al mondo, anche per essere stato, fino allo scorso anno, il calciatore ad avere segnato più reti con una nazionale (109 in 149 partite), record poi infranto da Cristiano Ronaldo.
È stato anche uno dei primi giocatori di origine iraniana ad arrivare a giocare in Europa, trascorrendo parte della sua carriera in Bundesliga con le maglie di Arminia Bielefeld, Bayern Monaco ed Hertha Berlino.
È stato eletto calciatore dell’anno asiatico nel 1999, e col Bayern ha anche conquistato un titolo di Bundesliga nel 1998/1999, e due Coppe di Lega tedesche (una coi bavaresi, due con l’Hertha).
Ha inoltre vinto vai trofei iraniani, tra i quali tre campionati, una coppa nazionale e una Supercoppa. Da allenatore non è mai stato in grado di uscire dall’Iran, dove tuttavia ha avuto la possibilità di allenare la nazionale tra il 2008 e il 2009.
Ad Ali Daei erano già state sequestrate due attività
Proprio in seguito ai post polemici e dunque all’opposizione contro il Regime di Teheran, ad Ali Daei erano stati posti sotto sequestro una gioielleria e il lussuoso ristorante “10 Forever“, nel ricco quartiere di Kamranieh.
L’agenzia di stampa iraniana Isna, che citava fonti giudiziarie, al tempo aveva scritto: “In seguito alla sua cooperazione con gruppi contro-rivoluzionari che operano su internet per perturbare la Pace e il commercio, sono stati posti i sigilli al ristorante e alla gioielleria di Ali Daei”.
Ali Daei aveva già parlato in precedenza di questo fatto, sostenendo di essere stato vittima di minacce e di aver di conseguenza rinunciato a seguire il Team Melli ai Mondiali di Qatar 2022, proprio per restare vicino al proprio popolo oppresso.
Sono ormai 100 giorni di proteste in Iran
La miccia era stata la morte della giovane Mahsa Amini, a settembre. Questa poi si è trasformata in una vera e propria bomba che è scoppiata in mano al Regine dello stato islamico. Ora non si protesta solamente per Masha, ma per tutte le donne (e gli uomini) oppressi dal Regime iraniano di Teheran, che dal canto suo non sta arretrando di un millimetro e sta attuando una politica repressiva totale, uccidendo e arrestato indistintamente tutti coloro che protestano.
La rabbia sociale nel Paese, questo deve essere compreso, non è nata totalmente in seguito alla morte di questa giovane, ma bolliva, sotto la superficie, già da tempo. Per esempio, riporta Il Post: “Tra la fine del 2017 e la fine del 2019 in Iran c’erano già state alcune proteste altrettanto inedite e violente contro l’aumento dei prezzi e in favore di migliori condizioni economiche”.
Nel mirino delle giovani studentesse e studenti (coloro che per primi hanno iniziato le manifestazioni) vi era la polizia religiosa, l’organo delle forze dell’ordine impiegato per far rispettare le stringenti regole morali e di decoro in vigore in Iran. Oltre alla capitale Teheran, gli altri centri di queste proteste sono Sanandaj, che si trova nel Kurdistan, Mashhad, a nord-est, e Bandar Abbas, a sud, sul golfo Persico.
In questi tre mesi e mezzo, le proteste hanno subita una escalation di violenza, passando da alcuni gesti simbolici (togliendo il turbante alle guide religiose e poi scappare, simbolo di rimozione del motore) a gesti pratici e violenta, come bombe molotov lanciate contro i centri religiosi delle città.
Come scrive Amnesty International, almeno 26 persone sono state condannate a morte nel corso di questi scontri.