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Italia, il flop causa della nostra mentalità sui giovani: i motivi

La nazionale di Mancini prepara la gara del 29 contro la Turchia, ma urge un cambio di passo a livello di programmazione e di gestione giovanile.

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L’Italia intera è ancora scossa da quanto successo giovedì sera, con l’eliminazione della nazionale dai playoff per andare al Mondiale in Qatar per mano di una Macedonia tutt’altro che irresistibile. Nella giornata di ieri i processi si sono sprecati (a giocatori e allenatore), e sicuramente continueranno anche oggi. Tuttavia questa eliminazione parte da lontano, e non può essere tutta colpa della squadra in sé (una formazione che neanche un anno fa raggiungeva il record di partite senza sconfitte, oltre a vincere un Europeo). 

Semmai, le colpe sono da condividere con tutto il movimento del calcio italiano, con la Lega Serie A e con la mentalità tipica italiana riguardo ai giovani, trattati a dir poco follemente rispetto a quanto succede nei top campionati europei.

Italia, Capello ha centrato il punto: “Basta giocare alla spagnola, copiamo i tedeschi”

Tra i tanti opinionisti che ieri hanno espresso il proprio parere subito dopo l’eliminazione, chi ha centrato il punto in maniera migliore è senza dubbio l’ex allenatore di Milan e Juve, ed ex CT di Inghilterra e Russa Fabio Capello, che in collegamento con Sky Sport ha puntato il dito contro il movimento del calcio italiano.

“Noi stiamo ancora copiando quello che Guardiola ha fatto tanto tempo fa. Facciamo passaggi laterali unitili, e in Serie A ci si butta a terra al minimo contatto. La Macedonia ci ha messo sotto col fisico. E’ tutto chiaro: dobbiamo copiare il modello tedesco, perché non siamo in grado di giocare come gli spagnoli. Serve fare come i tedeschi come determinazione, gioco in verticale e in profondità”. Queste le parole di ieri di Don Fabio, che racchiudono un concetto molto semplice. Non abbiamo gli uomini per giocare come fanno gli spagnoli, non abbiamo la tecnica di base, soprattutto in difesa e nel reparto avanzato.

Da anni invochiamo l’arrivo di una punta che la butti dentro, ma il tentativo di Mancini è stato quello di far dialogare centrocampo e attacco tramite la boa centrale. Immobile è un contropiedista e non è capace di farlo, Belotti idem, e neanche Scamacca potrà farlo. L’unico che ha fatto intravedere qualcosa è Raspadori, ma è ancora presto. 

Effettivamente Capello ha ragione, il nostro calcio è sempre stato più simile ai tedeschi che agli spagnoli, senza dimenticare che entrambi i movimenti calcistici si sono ripresi una volta toccato il fondo, tra la fine degli anni ‘90 e i primi Duemila. Dobbiamo seguire la loro strada, con una filosofia precisa e una programmazione che parta ora, soprattutto nei settori giovanili. 

Italia, la mentalità sbagliata del nostro paese: Zaniolo e Chiesa non sono dei “giovani”

Qui entriamo in un campo molto complesso e infinitamente discusso, ma basta osservare cosa succede negli altri campionati per renderci conto di quanto siamo indietro sulla questione giovani. In Italia, sentiamo spesso parlare di “giovani” dei vari Zaniolo (classe 1999), Chiesa (classe 1997), Scamacca (classe 1999), Raspadori (classe 2000).

Vediamo invece chi sono i “veri” giovani in giro per l’Europa: Pedri (Barcellona, classe 2002, titolare da ormai due anni); Gavi (Barcellona, classe 2004, titolare da quest’anno); Foden (Manchester City, un 2000 ma il suo esordio risale al 2017); Musiala (Bayern Monaco, classe 2003, lo scorso anno in gol contro la Lazio in Europa). Ricordiamoci poi quanto successo all’estero, per esempio, con De Ligt (classe 1999, capitano dell’Ajax ad appena 20 anni). 

Ecco, dunque il problema è tutto qui. I nostri “giovani”, non sono davvero tali, ma sono solo in ritardo con lo sviluppo calcistico. Gli italiani sopra citati, infatti, hanno pochissime o nessuna presenza in Europa coi club, mentre i ragazzi delle altre nazioni iniziano prestissimo da titolari nella propria squadra, accumulando un’esperienza che, arrivati ai 21-22 anni, si nota.

Italia, la gestione dei giovani è un disastro: serve cambiare, e alla svelta

Questo è forse il punto focale di tutta la questione relativa ai nostri fallimenti, sia a livello di club che di nazionale, in campo internazionale. Con Max Allegri come capopopolo, siamo ancora cultori del fatto che i giovani, e vogliamo iscrivere a questa categoria i giocatori dai 17 ai 20 anni, debbano per forza “farsi le ossa” in categorie minori, oppure passare un paio di stagioni in panchina in una big prima di essere buttati nella mischia. 

Il più recente che ci viene in mente al momento è Sebastiano Esposito, classe 2002, mandato dall’Inter al Basilea per acquisire esperienza. Visti i problemi offensivi della squadra di Inzaghi, perché non farlo giocare a San Siro invece che in Svizzera? La sua crescita sarebbe stata più lenta in Italia? Oppure anche il caso Fagioli, mediano della Juventus mandato in Serie B, alla Cremonese. Il suo campionato fin qui è ottimo, con i lombardi in corsa per la promozione diretta, ma visto il terribile centrocampo bianconero fatto di Rabiot e Arthur, perché non tenerlo in rosa e farlo giocare davvero?

Il problema è troppo questo, una macerazione dei giovani che alla fine li porta a rimanere giocatori mediocri invece che farli esplodere. E se continuiamo così, avremo ancora per molto una nazionale che, a parte qualche exploit tipico del Belpaese, non riprenderà i fasti antichi. Alla Lega Calcio il compito di cambiare direzione.

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