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Italia Mundial, l'irriducibile Stielike: il cattivo della Germania

L’ex centrocampista fu tra i protagonisti mancati tra le fila dei tedeschi nella finale al Bernabeu di Madrid quarant’anni fa, che consacrò gli azzurri.

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“L’Italia è sempre stata un’avversaria speciale, inutile nasconderlo. C’è una lunga tradizione di partite e non solo fra le nazionali. È una rivalità esplosiva perché siamo due popoli più vicini di quanto si creda e perché ci siamo frequentati spesso: voi venivate in Germania a cercare lavoro, noi veniamo in Italia per le vacanze. Ma anche se c’è l’Italia di mezzo, conosco una sola maniera di interpretare la sconfitta. Quando si perde, vuol dire che gli altri sono stati migliori. Allora si oltrepassa la linea di metà campo, si va stringere la mano, si torna a casa e ci si allena per vincere la prossima volta. Ho sempre fatto così”. Parola di Uli Stielike. A La Repubblica qualche anno fa l’ex centrocampista tedesco racchiuse così decenni di rivalità (e sconfitte tedesche) tra Italia e Germania. Quarant’anni fa esatti, l’11 luglio del 1982, giocò la finale mondiale di Madrid ma l’Italia dominò. Stielike è sempre stato nell’immaginario collettivo quello “brutto e cattivo” con due baffoni severi e il calcio facile. Un simbolo oltre che un calciatore.

Stielike impersonava sempre il cattivo per i tifosi

Di quella finale ricorda tutto Stielike ma senza troppi rimpianti: “Quale trauma? Ho perso una finale mondiale con l’Italia ma non ho mai smesso di dormire bene. Una delle prime cose che mi hanno insegnato da ragazzino: nel calcio si vince e si perde. I traumi sono un’altra cosa. Il temperamento è una guida. Io ne avevo. Era la mia droga legale. I calciatori senza temperamento sono davvero noiosi. Ne vedo tanti che vengono definiti dei talenti e dentro di loro”.

Stielike e Rummenigge, compagni-rivali nella Germania

Su Il Nobilecalcio si leggono aneddoti curiosi: “Nell’intervallo in un angolo c’è Kalle Rummenigge, chiama a sè Uwe Reinders e gli offre cinque mila marchi per spaccare la faccia a Stielike. Alla fine non se ne fa nulla e si rientra in campo. Quando segna Paolo Rossi, è già saltato tutto. Rummenigge cammina più che giocare. Uli Stielike sta giocando una sua finale, una gara a parte. Una prestazione dignitosa nel primo tempo, toccando poche palle. Ma adesso urla qualcosa al guardalinee. Soltanto lui. Nessuno lo segue. L’Italia va sul 2-0. Lui recupera un altro pallone e riparte. Litiga con Gentile, prende fallo . Le promette a Oriali, poi a Tardelli. Già che c’è, manda a quel paese anche Derwall. Protesta ancora, si becca il giallo. Capisce che il tempo non basta più. Prova a disturbare Zoff sul rinvio. Vuole il recupero e fa cenno all’arbitro. Chiude abbracciato al pallone, dentro la sua porta.

Stielike e Boskov, coppia d’oro al Real Madrid

Stielike, figlio di un magazziniere ricorda il suo passaggio al Real. “Mi telefonò Netzer poco prima di Borussia – Dinamo Kiev di Coppa dei Campioni : Preparati perché verrà alla partita Santiago Bernabeu. Io ero infortunato. Strinsi i denti e giocai ugualmente”. In realtà Bernabeu era partito per vedere Herbert Wimmer. Dopo dieci minuti di partita l’investitura: “ ¿ Como se llama ese del bigote ? Hay que fichar a ese que tiene tanta mala leche ” (“Come si chiama quello coi baffi ? Uno che ha così tanto sangue cattivo, deve firmare”). Sa quando giocare a uno o a due tocchi. Il primo anno segna addirittura tredici gol in ventisette gare. Sarà miglior calciatore straniero della Liga. Tutti lo chiamano tanque : “Al Real Madrid sono diventato un uomo. Per me è una filosofia, un modo di fare”.

La gente grida “Uli , Uli”. Lui si diverte e poi è arrivato don Vujadin Boskov: “Un grande . Anche lui mi ha insegnato tantissimo. Diverso da Weisweiler, ma altrettanto bravo. Innamorato pazzo del pallone. In allenamento preferiva sempre la partitella agli esercizi fini a se stessi. Con lui il lavoro quotidiano pesava poco o nulla”. Vincono quasi tutto. A Nel doppio confronto con l’Inter in Coppa Campioni, Uli Stielike gioca in mezzo. E Bersellini aveva sperato proprio questo: “Perché se Stielike gioca lì, si può predisporre una marcatura. Se invece partisse dalla difesa, sarebbero guai”. Stielike si ritrova addosso Beppe Baresi, ma lo semina facile. E strappa anche la palla per il gol del raddoppio. A fine partita il responso di Bersellini: “Migliore in campo ? Stielike”.

Stielike e il dramma del figlio Michael

Nella storia di gol, vittorie e calcioni di Stielike c’è però un momento buio. Una notizia che riguarda il figlio Michael, colto da brutta malattia: “La mia visione delle cose cambia radicalmente. Da un dramma che mi sembrava grandissimo, quello del mio ginocchio infortunato, precipitai in un altro dalle dimensioni molto più grandi”. Michael ha solo tre anni. “Per qualche tempo mi lasciai andare completamente. Il mondo intero mi sembrava ingiusto. Lo rifiutavo . Mi ero messo in testa che Michael non sarebbe più guarito e questo bastava ad isolarmi da tutto e da tutti”. Michael è stato operato. Poi la lunga terapia : “Nella sfortuna, siamo stati fortunati ad appoggiarci all’ospedale di Berna, uno dei più attrezzati in questo campo”. Torna in campo col Neuchatel nell’ ’88, giocando dodici spezzoni di partita fino al secondo scudetto. Michael morirà a ventitrè anni. “Quando ho visto mio figlio morire lentamente, ho visto che l’uomo non è niente. Zero. E non ho più avuto paura di nulla. Se perdi qualcosa di costoso e importante per te, tutto il resto perde di valore e diventa insignificante. Ho capito che c’è qualcosa di più importante”.

Dopo aver smesso di giocare Stielike è diventato allenatore

Subito dopo il ritiro, assunse nel 1989 l’incarico di commissario tecnico della Nazionale svizzera, che guidò nel percorso di qualificazione – fallito – al campionato del mondo 1990. Sempre in Svizzera allenò la sua ultima squadra da calciatore, il Neuchâtel. Tornato in Germania allenò nel biennio 1994-1996 il Mannheim e, dal 1998, entrò nei ranghi federali per seguire le nazionali giovanili tedesche. Dal 2000 al 2004 si dedicò invece interamente alla guida della Nazionale Under 21. Nel 2006 viene nominato commissario tecnico della Costa d’Avorio firmando un biennale, nel 2008 si dimette per stare vicino al figlio malato, poi ritorna alla guida della nazionale ivoriana. Passa al Sion ma si dimette presto, poi all’Al-Arabi e all’Al-Sailiya. Successivamente diventa ct della Corea del Sud ma nel 2017 viene esonerato dopo la sconfitta contro il Qatar per la terza fase delle qualificazioni per il Mondiale. L’ultima sua panchina è stata in Cina nel 2020.

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