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L'allarme di Moratti: "Manca passione, è una cosa pericolosa da tenere in piedi, il finale è scontato"

L'ex presidente dell'Inter confessa le sue paure per il futuro del calcio italiano con i club che saranno sempre più in mano a proprietà straniere

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Fabrizio Piccolo

Fabrizio Piccolo

Giornalista

Nella sua carriera ha seguito numerose manifestazioni sportive e collaborato con agenzie e testate. Esperienza, competenza, conoscenza e memoria storica. Si occupa prevalentemente di calcio

I piccoli indiani della serie A sono rimasti in nove ma, come nel giallo di Agatha Christie, sono destinati a diminuire sempre di più. A resistere per ora sono Cagliari, Empoli, Juventus, Lazio, Lecce, Monza, Napoli, Torino e Udinese, il resto della serie A è in mano straniera col sorpasso firmato dal rumeno Sucu che ha acquisito il Genoa. Una tendenza prevista da tempo da Massimo Moratti che esprime le sue paure in un’intervista a La Repubblica.

Usa padroni in A, in 8 hanno proprietà americane

La voce grossa la fanno gli Stati Uniti. In serie A sono 8 le società con timonieri made in Usa (Atalanta, Bologna, Fiorentina, Inter, Milan, Parma, Roma, Venezia e Verona), a cui aggiungere il Bologna del canadese Saputo. Poi ci sono anche il Como dei fratelli indonesiani Hartono e appunto il Genoa rilevato poche settimane fa dal rumeno Sucu.

Le differenze col passato tra presidenti italiani e stranieri

Se i patron italiani erano – soprattutto in passato – attenti ad abbonamenti e mercato, le nuove proprietà guardano al medio-lungo periodo, puntano ad avere uno stadio moderno, funzionale, che sia attivo tutti i giorni, che produca utili prima, durante e dopo le partite. Le proprietà americane hanno fatto fronte comune anche in Lega serie A, alleandosi con le grandi con cui condividono una strategia più manageriale hanno sovvertito l’equilibrio che storicamente premiava il gruppo guidato da De Laurentiis e Lotito.

La paura di Massimo Moratti

Una storia che non sorprende Massimo Moratti, icona di quei presidenti mecenati che nel calcio ci hanno soprattutto rimesso per amore. L’ex presidente dell’Inter racconta a La Repubblica: «All’inizio degli anni Duemila ha cominciato a crescere l’idea che il giocattolo stesse diventando non più sostenibile. Ma già nel mio periodo era piuttosto pesante: ci volevano resistenza e passione, senza non ce l’avrei fatta. Poi intorno al 2011 ho iniziato a pensare che servisse qualcun altro al comando. Chi arriva dall’estero cerca un affare, oppure vede un’avventura interessante. Non si può pretendere da loro la passione che ci mettevamo noi».

C’è chi non molla: «Sì e ne sono felice, ma il calcio ogni anno diventa un business sempre più caro, un gioco pericoloso da tenere in piedi. Dovessero ricevere una buona offerta venderanno anche loro. Si va verso una serie A con tutte proprietà straniere, la strada è quella. Agli spettatori non interessa la nazionalità, per loro basta che la società sia seria. Se mi sono mai pentito di aver ceduto l’Inter? No, ogni cosa ha il suo tempo e io ho consumato bene il mio. Ripenso spesso alla mia Inter, ma non ho mai avuto nostalgia dei miei anni da presidente. È stato giusto fare un passo indietro, ma è stata un’avventura bellissima».

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