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La seconda vita di Bossini: “Non mollate, ma non tornate mai indietro"

L'ex ranista. Paolo Bossini, ci confida che cosa è cambiato in lui e nel suo quotidiano dopo aver affrontato e superato il linfoma di Hodgkin

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La virata più lunga per Paolo Bossini è stata quella dopo la malattia. Nel 2010 gli è stato diagnosticato il linfoma di Hodgkin, una terribile malattia che lo ha scaraventato fuori dalla vasca e lo ha messo di fronte ad un’altra sfida fino ad allora sconosciuta per lui. Prima era uno degli atleti più brillanti del nuoto azzurro, specialista dei 200 rana e doppio campione europeo, avendo vissuto un 2004 d’oro con i trionfi agli Europei di Madrid in vasca lunga e di Vienna in corta. Ha anche partecipato a due Olimpiadi: nel 2004 ad Atene quando si è piazzato al quarto posto, a pochi decimi dall’argento, e nel 2008 a Pechino.

Questi sono i dati freddi che esprimono il potenziale di Bossini in acqua, ma il campione azzurro è riuscito ad esprimere la sua forza d’animo quando ha affrontato e sconfitto il tumore e negli anni successivi quando è riuscito a trasmettere questi valori ai ragazzi che allena e si è dedicato ad iniziative di solidarietà. Recentemente ha sposato il progetto “Voglio correre”, un’iniziativa promossa a favore di AISM (Associazione Italiana Sclerosi Multipla) per raccogliere fondi per la ricerca contro questa malattia neurodegenerativa che colpisce 126 milioni di persone in Italia. I proventi derivati dal brano “Voglio correre” scritto da Maurizio Tommasini per i Foreway verranno infatti devoluti all’AISM.

In questa lunga intervista abbiamo parlato con Bossini delle Olimpiadi che stanno per iniziare a Tokyo, dei suoi ricordi tra le corsie, della sua nuova vita a bordo vasca e fuori dalla piscina, ma anche di come ha affrontato con coraggio i momenti più difficili quando tutto sembrava perduto. Ci ha anche spiegato cosa intende veramente quando ci suggerisce di non tornare mai indietro, nemmeno per prendere la rincorsa. Un consiglio prezioso dall’esperienza di un campione dentro e fuori dall’acqua.

Le Olimpiadi sono alle porte e tu ti occuperai delle videoanalisi per la nazionale svizzera. Dopo una grande carriera da nuotatore e dopo essere stato head coach della nazionale ceca, proprio qui in Svizzera hai ricominciato una nuova fase della tua vita. Ce ne vuoi parlare?
Sono venuto qui in Svizzera per alleggerirmi da tutto quel mondo, da tutti viaggi, da tutte le trasferte. Allenare una nazionale era il mio sogno, ma poi ho scoperto che non era quello che volevo veramente. In realtà volevo una vita più easy. Ho passato tutta la vita sempre in viaggio e farlo anche per lavoro sarebbe diventato pesante.
In Svizzera sei allenatore di un club privato e la nazionale ti ha chiesto di curare le videoanalisi durante i training camp, una nuova esperienza per te. Possiamo dire che la tecnologia oggi ha un ruolo molto importante nello sport?
Sì, assolutamente. Sto facendo un lavoro pazzesco. Preparo delle schede in Powerpoint per ogni ragazzo con le tecniche. Sto facendo un lavoro pazzesco lì e quando l’hanno visto mi hanno detto che dovevo lavorare per forza con la Nazionale. Ormai lo sport è tecnologia e lo vedo a 360°. Addirittura tramite l’iPad puoi controllare i battiti dei ragazzi in acqua, c’è il Virtual Swim Trainer. Io uso molto la tecnologia, non sono un allenatore di vecchio stampo e mi piace tenermi sempre aggiornato.

Tuffiamoci ora nel vivo delle Olimpiadi. Chi dobbiamo tenere d’occhio tra gli atleti della nazionale svizzera? Tra le corsie c’è già la nuova Flavia Rigamonti?
Non diciamolo troppo ad alta voce perché sono scaramantici anche gli svizzeri, ma tenete d’occhio Lisa Mamiè, Noe Ponti, Roman Mityukov e Antonio Djakovic. Che poi se ci pensi di svizzero svizzero non c’è nessuno: sono tutti mezzi italiani, russi o di altre nazioni. Questi sono begli atleti e hanno un bel futuro. Personalmente mi piace Lisa perché sta avendo una crescita pazzesca e mi piace moltissimo come nuota a rana. E poi Noe Ponti è un fenomeno.

A proposito di raniste emergenti, in Italia abbiamo la giovanissima Benedetta Pilato, ma anche Martina Carraro e Benedetta Pilato e Arianna Castiglioni. Da ex ranista le avrai seguite con un’attenzione particolare. Cosa pensi della loro crescita?
Ho anche nuotato insieme ad Arianna e Martina: negli ultimi anni della mia carriera loro erano delle giovincelle che venivano fuori. Ti dico che Pilato è proprio un fenomeno della natura. Le altre due sono delle veterane che hanno trovato una seconda giovinezza perché non sono mai state così forti. Poi tra gli uomini c’è Nicolò Martinenghi che è come un fratellino per me. Lui è un altro fenomeno come la Pilato. Sono quei fiori rari che nascono ogni tanto e che secondo me andrebbero coltivati di più ed esposti meno. Loro sono dei fenomeni e hanno ottenuto grandissimi risultati ma, se fossi stato il loro allenatore, avrei fatto silenzio stampa fino alla fine delle Olimpiadi in modo da metterli nelle migliori condizioni. Io ci sono passato. Pochi mesi prima delle Olimpiadi ho vinto gli Europei e mi hanno bombardato, mi hanno fatto arrivare stracarico di aspettative. Poi in finale sono arrivato quarto ma, se fossi arrivato al blocco con meno responsabilità, magari avrei giocato un po’ diversamente visto che con due decimi di secondo sarei arrivato secondo. Anzi, dopo hanno detto pure che ero la delusione essendo arrivato quarto.

Quindi in generale l’aspetto mentale potrebbe essere decisivo in una manifestazione come questa? Soprattutto in uno sport come il nuoto?
Gioca un ruolo importantissimo. Considera che l’atleta per il 70% è testa e per il 30% è fisico. Ti faccio l’esempio di Phelps quando vinse le 8 medaglie d’oro. Non è che il suo fisico fosse più allenato di un altro o che lui fisicamente fosse più dotato. Era semplicemente la sua testa che lo ha portato a fare quello che ha fatto. E lui si era rinchiuso, non ha voluto parlare con nessuno fino alla fine. Il fisico si stressa in base alla pressione della testa, ma se tu vai in gara con troppi pensieri e responsabilità, limiti la tua prestazione. E questo gli atleti non devono mai dimenticarlo.

Tornando alla tua gara, come è cambiata la rana da quel 2004 d’oro ad oggi?
In Italia non è cambiata molto perché con i tempi che facevo nel 2004 probabilmente vincerei ancora gli Assoluti. Prima c’era stata una grandissima tradizione della rana in Italia Fioravanti, Rummolo, poi ci sono stato io, Facci. A livelli internazionale invece è cambiato che, mentre prima si faceva un primo 100 più tranquillo per spingere il secondo, oggi ormai passano a 59” o 1’00”. Una volta si vincevano i campionati europei nei 100 con 1’00”, oggi è il passaggio nella gara dei 200. Poi devi tornare veloce: oggi passano ad 1’00” e tornano ad 1’06”. Io ci sono tornato ad 1’06” alle Olimpiadi, ma ero passato in 1’02”.

Le nuove metodologie di allenamento hanno avuto un ruolo in questo?
Sicuramente sì. È stata introdotta più palestra che prima era un tabù. Prima si faceva ma era più easy e le corporature erano più esili. Oggi vedi uno che fa i 200 e ti sembra un velocista dei 100 o dei 50 di 10 anni fa. Adesso sono tutti dei colossi

Ci fai un pronostico sui 200 rana a Tokyo? Quale sarà il podio?
Io punto tanto sul Giappone e poi secondo me salta fuori anche qualcosa dalla Russia. Non mi sbilancio molto, ma Giappone e Russia secondo me sono quotati.

Per un decennio sei stato uno dei più grandi interpreti dei 200 rana in Europa, poi all’improvviso alcuni cali fisici e nel 2010 una battuta d’arresto con la diagnosi di una brutta malattia: il linfoma di Hodgkin. Come sei arrivato a quel punto?
Non so come ci sono arrivato, mi ricordo solo che mi ero svegliato e non stavo molto bene. Avevo dei dolori al collo, poi ho fatto tutti i controlli e il giorno dopo arrivò la sentenza. “Tu hai il cancro – mi dissero – dovrai fare chemioterapie, radioterapie e sperare di arrivare in fondo. Quindi scordati di nuotare”.

Fino a poco prima tu avevi partecipato a diverse gare internazionali.
Sì, ero nel pieno della mia carriera, ma sentivo che fisicamente qualcosa era cambiato però non riuscivamo a capire il problema. Poi abbiamo scoperto quale era la causa di tutti quegli sbalzi fisici, ormonale, della febbre. In quell’anno mi sono anche sentito dire più volte da molta gente che non avevo più voglia di nuotare e che ormai mi sentivo un atleta arrivato. Ma in realtà dentro di me dicevo che non era così. Poi tutte quelle persone si sono ricredute e hanno iniziato a guardarmi con un’altra considerazione. Non è stato facile per me perché, a parte mia moglie, io ero da solo e non avevo più il supporto delle persone vicine che non mi credevano più.

Prima mi dicevi che nel nuoto l’aspetto mentale è molto importante. Questo aspetto ti ha aiutato anche ad affrontare la malattia?
Sì. È stato un percorso lungo e difficile, pieno di alti e bassi, ma in testa avevo solo la voglia di tornare a fare quello che avevo sempre fatto, cioè nuotare. Ci sono riuscito dopo un anno. Purtroppo, il Paolo che era in acqua un anno dopo mentalmente era 100 volte più forte di prima, ma il fisico non stava più dietro alla testa perché quello che avevo avuto mi avevo portato ad uno sfinimento fisico. Ho continuato a nuotare ancora per un anno e mezzo, tornando a buon livello, ma una mattina mi sono svegliato e, come nel film Forrest Gump, mi sono detto che ero stanco e non ce la facevo più. Volevo dimostrare a tutti che si poteva, l’ho dimostrato, ma sentivo in cuor mio che il nuoto non mi dava più le stesse soddisfazioni. Poi avevo la famiglia, non avevo più gli sponsor e tutte queste responsabilità sono state determinanti.

E da qui è iniziata la tua seconda vita a bordo vasca da allenatore.
All’inizio o fatto molta fatica perché mi confrontavo con i mei atleti come se fossero me. E non riuscivo a capire perché cose semplici non riuscissero a farle. Ragionavo come se ci fossi io in acqua. Poi ho realizzato che ogni ragazzo che avevo in acqua non era Bossini, ma era Luca Francesco, Valentina e via dicendo. Così ho iniziato ad allenarli sul serio. Quando ho capito questa cosa, ho iniziato a vedere i risultati di quello che stavo facendo. Questa cosa mi ha portato emozioni sotto un altro aspetto e ancora oggi ne sono grato perché vivo emozioni grazie ai miei atleti. Sono veramente felice di trasferire loro delle conoscenze che ho appreso durante la mia carriera e adattarle su ognuno di loro. Ancora a distanza di anni i ragazzi ti scrivono e ti dicono di quella volta che gli ho detto quella cosa. Per esempio, poco tempo fa un ragazzo che ho allenato nel 2013 mi ha scritto che si è ricordato di una cosa che gli avevo detto anni fa e, grazie a quello è stato in grado di superare una problematica che aveva. Quella volta gli avevo detto di non tornare mai indietro per prendere la rincorsa, qualunque cosa fosse accaduta.

Stiamo parlando della tua seconda vita, ma in realtà sono tante seconde vite ed esperienze. È come se dopo la malattia tu avessi fatto una virata esplosiva per ripartire velocissimo.
Diciamo però che prima di ripartire ho fatto una subacquea bella lunga. Prima di ripartire ho dovuto riordinare tante cose nella mia testa. Innanzitutto, ho dovuto accettare il fatto che non sarei tornato a nuotare. Per me nuotare era tutto, era tutta la mia vita. Accettarlo è stato difficile. Pensa che, nei primi due anni da allenatore, se fossi salito su un blocchetto lo avrei spezzato in due. Poi piano piano sono riuscito ad uscire e respirare, a riprendere la mia vita in questo mondo nuovo e non prendere più le emozioni solo da me stesso ma da ogni ragazzo in gara che usciva con un sorriso.

E hai anche sposato molti progetti diversi tra loro. Per esempio, hai fatto rinascere le corsie di plastica delle piscine. Come?
È una cosa nata un po’ per caso. Mi sono sentito con questa azienda, Ossidabile, per una collaborazione e un giorno gli ho chiesto cosa ne pensavano di produrre dei bracciali fatti a corsia. Perché vedendo i ragazzi avvolgere le corsie sopra un rullo mi è apparsa l’immagine di un bracciale fatto a corsia. Abbiamo analizzato i numeri e abbiamo deciso di farci un business. Questa cosa è stata un po’ una mia rivincita, una medaglia che non ho preso e che ho trovato in altre forme.

E un altro valore è quello della solidarietà, soprattutto nei confronti delle persone che stanno lottando contro una malattia come hai fatto tu. Stai sostenendo con Maurizio Tommasini un progetto di beneficenza per l’AISM (Associazione Italiana Sclerosi Multipla). Ce lo racconti?
Maurizio aveva letto da qualche parte la mia storia e si era appassionato. Il caso ha voluto che conoscessimo le stesse persone, così mi ha contattato e ho sposato a pieno questo progetto. Sono contento di essere salito a bordo e di poterlo sostenere come posso. Il progetto parte da questa canzone che ha fatto Tommasini e spero che possa regalare tanti sorrisi. La musica fa parte della mia vita anche se sono stonatissimo, ma il progetto va molto oltre. È bello perché aiuta delle persone che stanno passando un periodo (che per chi ha la sclerosi multipla non è solo un periodo), facendo passare loro dei momenti di spensieratezza che sono impagabili.

Cosa può fare ognuno di noi per aiutare le persone che stanno che soffrono di una brutta malattia come la sclerosi multipla?
Regalargli un sorriso: è la cosa più semplice ed economica che ci possa essere. Poi un’altra cosa è di non compatire le persone malate. Tu devi trattarle come tutte le altre persone perché, nel momento in cui vedono pietà nei tuoi occhi o sofferenza, loro si chiudono. È successo anche a me durante la malattia. A me faceva male passare dei momenti con delle persone alle quali volevo bene e vedere che piangevano tutto il tempo. Le persone che stanno male non hanno bisogno di quello. Quando affronti una malattia del genere tu non sei più un umano, ma sei un X-man. Tu hai bisogno di un abbraccio, ma anche di essere trattato normalmente.

Vuoi dare un consiglio a chi ogni giorno cerca di vivere al meglio la sua vita, combattendo con coraggio contro la malattia?
Il mio consiglio è quello di non tornare mai indietro nemmeno per prendere la rincorsa. È quello che ho fatto anche io nel periodo della malattia. Sostanzialmente bisogna sempre andare avanti, dritti per quella che è la propria strada, verso i propri obiettivi e i propri sogni. Non bisogna mai smettere di crederci, anche se sarà difficilissimo in certi momenti. Bisogna sempre tenere la testa occupata da quelle cose e volerlo realmente. Se tu ci credi realmente, non dico che ce la farai, ma ci saranno più possibilità che tu ce la possa fare.

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La seconda vita di Bossini: “Non mollate, ma non tornate mai indietro" Fonte: ANSA

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