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Luciano Spalletti non vive più senza la Nazionale, lo sfogo dell'ex ct

I rimpianti del tecnico di Certaldo che ripensa sempre all'occasione della vita sfumata, arriva anche l'ammissione dell'errore più grande

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Fabrizio Piccolo

Fabrizio Piccolo

Giornalista

Nella sua carriera ha seguito numerose manifestazioni sportive e collaborato con agenzie e testate. Esperienza, competenza, conoscenza e memoria storica. Si occupa prevalentemente di calcio

Si è rifugiato nella sua natura, nella rimessa di Montaione, un’ora d’auto da Firenze, tra vacche, pavoni e caprette, con la compagnia del vino rosèe prodotto nelle sue colline chiamato “Tra le linee” ma Luciano Spalletti ancora non riesce a dimenticare il dolore per l’esonero da tecnico della nazionale e confessa la sua amarezza in un’intervista a La Repubblica.

La Nazionale, pensiero fisso di Spalletti

Gira e rigira il pensiero va sempre lì, a quella sera di giugno quando, dopo il tracollo con la Norvegia, il presidente federale Gravina gli comunicò l’esonero. Ne seguì la surreale conferenza del giorno dopo quando, prima di sedere per l’ultima volta sulla panchina azzurra per la gara con la Moldavia, fu lui stesso ad annunciare il divorzio.

«Non mi passa mai. Mi toglie il sonno – dice a La Repubblica – mi condiziona in tutto, perché il pensiero torna sempre lì. Certe volte mi sembra di essere felice, poi però dopo un attimo mi torna in testa quella cosa lì. Non sono riuscito a far capire ai ragazzi che gli volevo bene».

Non dirà mai che è stato un errore accettare l’Italia. Soprattutto perché non lo pensa. L’errore – dice – è stato un altro: «Il mio errore è stato, all’inizio, pigiare troppo su questo senso di appartenenza, di identità. Chiedere di cantare l’inno. Di fare un grido di battaglia prima di ogni allenamento. Volevo stimolare quell’orgoglio che provavo io, ma è stato troppo».

La difesa del gruppo

Nessuna colpa per i giocatori e nessun alibi sull’assenza dei campioni: «No, l’ho detto anche a loro: non vi fate fregare da chi dice che siete scarsi: siete di alto livello. Anche se è finita così e la responsabilità è solo mia, non mi priverei mai di Bastoni, Barella, Dimarco: del mio gruppo storico, insomma. In quei mesi abbiamo avuto una pressione enorme, come l’ombra di un Polifemo sulle spalle, non siamo riusciti a liberarcene. Anche nell’ultimo ritiro prima della sconfitta con la Norvegia sono successe cose inaspettate, tanti infortuni anche facendo venti minuti di allenamento».

Il rapporto con De Laurentiis

Ultima riflessione anche sul Napoli: nel suo libro ha messo spalle al muro De Laurentiis: «Con quel gesto ho contribuito a far riconoscere situazioni che poi sono state chiare un anno dopo, quando De Laurentiis ha capito che per vincere ancora avrebbe avuto bisogno di prendere un grande allenatore, che non dipendeva tutto solo da lui. Il più grande dispetto che ho ricevuto è non averci fatto sfilare per la città sul pullman dopo lo scudetto. Mi mancherà per sempre, ancora di più mi è mancato dopo averli visti sfilare quest’anno. Ho chiesto a dei calciatori di mandarmi il video, per capire almeno che effetto facesse quella folla da lì sopra».

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