L’ennesimo affronto ad Anna Frank. “Pensavo fosse la figlia di Fantozzi, Mariangela. Non sapevo che si trattasse di un’ebrea deportata”. A dirlo sarebbe stato uno dei quattordici tifosi laziali fermati in seguito al tristemente noto episodio dello scorso ottobre, durante la partita Lazio-Cagliari, quando alcuni ultras biancocelesti tappezzarono con adesivi antisemiti raffiguranti Anna Frank con la maglietta della Roma il settore solitamente destinato ai sostenitori giallorossi.
Il quotidiano romano ‘Il Tempo’ racconta degli interrogatori ai quali alcuni degli indagati, almeno sei, si sono sottoposti volontariamente. C’è chi ha sostenuto che pensava si trattasse di una bambina comune e chi, addirittura, avrebbe sostenuto di averla scambiata con Mariangela Fantozzi. Un’affermazione che, stando a quanto riferito dal quotidiano, avrebbe fatto sobbalzare sulla sedia il pubblico ministero che stava conducendo l’interrogatorio, su tutte le furie per un’affermazione di tale portata: “Ma lei sta scherzando?” avrebbe domandato all’uomo.
I tifosi biancocelesti coinvolti nella sconcertante vicenda hanno provato a spiegare che da parte loro non c’era “nessun intento denigratorio o discriminatorio, nessun insulto razzista” ma solo una goliardata tra opposte tifoserie. “Scherno e sfottò da parte di qualche ragazzo”, si leggeva tra l’altro sui social vicini all’ambiente della curva della Lazio nei giorni seguenti la sfida con il Cagliari.
Sul piano processuale, invece, è fondamentale capire se tutti i 14 ultras indagati (hanno tra i 17 e i 53 anni) abbiano consapevolmente utilizzato il viso della bambina ebrea vittima dell’Olocausto per dileggiare i loro avversari resuscitando l’antisemitismo. Quel brutto fotomontaggio, secondo l’accusa, aveva un “intento chiaramente denigratorio e di scherno”.
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