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Messina: "Vincere significa essere la miglior versione di se stessi"

Ettore Messina si è raccontato durante un evento BMW combinato tra Milan e Olimpia Milano, per festeggiare il doppio scudetto cittadino vinto sia nel calcio che nel basket. Tra i tanti temi toccati dal tecnico siciliano, la gestione del gruppo, il ruolo dell'allenatore moderno e le sensazioni nel rappresentare una piazza storicamente molto esigente.

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Messina: "Vincere significa essere la miglior versione di se stessi" Fonte: Getty Images

Diversi tematiche, tutte interessanti, quelle trattate dall’allenatore dell’Olimpia Milano Ettore Messina nel corso dell’evento BMW organizzato dall’A|X Emporio Armani insieme al Milan. Riportiamo i passaggi più significativi da parte dell’allenatore dei campioni in carica della LegaBasket Serie A.

“La cosa fondamentale quando si ha a che fare con un gruppo è la conoscenza reciproca, l’accettarsi in quelle che sono le rispettive abitudini e culture. La figura del coach nel basket è diversa per un serbo, un americano o un africano. Si aspettano comportamenti diversi, una figura più pressante ed esigente o una che è invece deputata a mantenere un’atmosfera positiva. È bello riuscire a far stare tutti insieme. La gente crede che nel concetto di gruppo tutti debbano fare le stesse cose, ma non è così. Una volta, se uno saliva sul pullman con le cuffie si diceva che non faceva gruppo. Ma non è così. Vuole solo ascoltare musica diversa dagli altri. Bisogna anche accettare le differenze, e non imporre l’omologazione. I giocatori non sono scolaretti che fanno tutti le stesse cose. La cosa realmente importante è mettersi tutti d’accordo su quello che vuol dire vincente: vincere vuol dire essere la miglior versione possibile di se stessi, soprattutto nei momenti di maggior difficoltà. Vicono i campionati quelli che arrivano al meglio nel momento top della stagione”.

Sul ruolo dellìallenatore moderno, Messina ha fatto riferimento al Stefano Pioli, che con lui ha chiacchierato nel corso della serata: “Stefano ha dieci assistenti. Io sono fortunato: ne ho quattro, più due ragazzi che fanno i video-analisti. Quando ho iniziato ne avevo uno e mezzo, è cambiato tutto. Ora l’allenatore coordina una serie di specialisti di alto livello. Deve avere competenze molto ampie per potersi rapportare con tutti e tenerli assieme. L’altro grande cambiamento è la comunicazione. Quando ho iniziato, c’erano i VHS e non c’erano i telefonini. Per preparare una partita diventavo matto. Oggi invece posso mandare tre clip via whatsapp ai giocatori e non fare la riunione. Il mio head-coach ai San Antonio Spurs, Gregg Popovich, era spaventato dalle ‘too many appearances’, le troppe volte in cui ci si vede con i giocatori. Diceva che coach e giocatori non devono stare troppo tempo assieme”.

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