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Mondiali Atletica, Nina Kennedy e Katie Moon si dividono l'oro: tutti i casi di ex aequo nello sport (c'è anche Tamberi)

La medaglia d'oro condivisa da Nina Kennedy e Katie Moon nel salto con l'asta ai Mondiali di atletica di Budapest è solo l'ultimo dei trionfi a pari merito nella storia dello sport

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Roberto Barbacci

Roberto Barbacci

Giornalista

Giornalista (pubblicista) sportivo a tutto campo, è il tuttologo di Virgilio Sport. Provate a chiedergli di boxe, di scherma, di volley o di curling: ve ne farà innamorare

Negli occhi quella scena è facile da rivivere: Gianmarco Tamberi e Mutaz Essa Barshim che si danno uno sguardo e capiscono subito che si, non c’è nemmeno da stare a discutere, perché condividere una medaglia d’oro per loro è comunque aumentare esponenzialmente il grado di felicità. Dopotutto sono amici da una vita, si stimano e si rispettano, ed entrare nella storia dalla porta principale è quanto di meglio avrebbero potuto chiedere alla vita, oltre che a se stessi.

Una scena che a Budapest, due anni dopo il precedente di Tokyo, è tornata d’attualità grazie a Nina Kennedy e Katie Moon, protagoniste della finale del salto con l’asta. Australiana Nina, statunitense Katie, ma sempre col medesimo sorriso stampato a 32 denti: quando il giudice di gara ha detto loro che potevano decidere di conquistare l’oro mondiale in coppia, nessuna delle due ha indugiato un istante più del dovuto. E via anche lì di abbraccio, perché condividere è più bello e il primo gesto che viene spontaneo è di stringere la rivale come se fosse la migliore amica di sempre.

Come Tamberi e Barshim, che a Tokyo fallirono tre volte consecutivamente la misura a 2,39 (e se avessero proseguito sarebbero dovuti scendere di nuovo a 2,37), così anche Kennedy e Moon hanno fallito tre tentativi a 4,95, dopo i quali avrebbero dovuto abbassare la misura per riprendere la gara. Ma una volta che si sale in alto, nessuno vuol tornare indietro. E se c’è da spartirsi un podio sul gradino più alto (appunto) del podio, nessuno se ne fa un problema.

Serse Coppi a Roubaix

L’atletica mondiale ha offerto due episodi rari, ma nei quali il senso e il valore dello sport sono emersi in tutta la loro grandezza. Eppure di vittorie ex aequo né è piena la terra, e sin dai tempi più lontani. A volte figlie dei errori di chi organizza le gare, come il primo esempio della storia del ciclismo: Parigi-Roubaix, edizione 1949, vincitori André Mahe e Serse Coppi. È la giornata di gloria del più giovane fratello di Fausto, che perderà la vita pochi un paio d’anni più tardi dopo una rovinosa caduta al Giro del Piemonte.

Ma quel giorno nell’inferno del Nord è Serse il fuoriclasse di casa Coppi: Fausto e Van Steenbergen, i grandi favoriti della vigilia, si marcano a vicenda e non trovano il modo per scappare. Una fuga va via e tra i corridori coinvolti c’è anche il francese André Mahé, che arriva a guadagnare secondi preziosi assieme a Frans Leenen, un belga. Solo che arrivati nei pressi del velodromo sbagliano strada e perdono tempo: entrano in pista dal lato sbagliano e percorrono gli ultimi 250 metri al contrario, con Mahé che s’impone allo sprint.

Serse Coppi invece vince la volata dei primi inseguitori, quelli che entrano dal lato giusto del velodromo. Seguono attimi di disorientamento: Mahé viene dichiarato vincitore, poi la Bianchi (la squadra dei Coppi) fa ricorso e il giudice di gara dice che la vittoria è da assegnare a Serse. Gli organizzatori non si mostrarono troppo concordi e decisero di dividere i premi per i due vincitori. Poi la federazione francese una settimana dopo decretò di nuovo vincitore Mahé, ma dopo il ricorso della federazione italiana ad agosto, 4 mesi dopo, la federazione internazionale stabilì che avevano vinto entrambi. E vissero tutti felici (?) e contenti.

Quel giudice non vedente…

Nel 1877 sul Tamigi andò in scena la più celebre delle regate tra gli studenti universitari di Oxford e Cambridge. La “Boat Race” rimane un evento di grande rilevanza anche oggi, ma quell’anno fece notizia perché il giudice John Phelps, che qualcuno azzardò affermare essere persino non vedente da un occhio, non riuscì a stabilire quale prua passò per prima al traguardo dopo 24 minuti e 8 secondi.

Novanta anni più tardi, al Gran Premio di Siracusa di automobilismo, Ludovico Scarfiotti e Mike Parkes condivisero il primo gradino del podio dopo essere transitati all’unisono sul traguardo: le cronache dell’epoca raccontano che l’inglese probabilmente avrebbe dovuto essere proclamato vincitore, ma Scarfiotti correva su una Ferrari ed Enzo, il “Drake”, presente alla gara (pur se non valida per il mondiale), pressò i commissari di gara affinché dessero la vittoria condivisa, perché un italiano che vince in Italia è pur sempre una bella notizia, e poi dopo la morte di Lorenzo Bandini avvenuta pochi giorni prima a Monte Carlo c’era bisogno di rincuorare gli appassionati italiani.

Sfida sul filo dei centesimi

Anche nel nuoto c’è una gara nella quale nessuno è riuscito a decretare chi fosse davvero il vincitore: Ai giochi olimpici di Los Angeles 1984 le statunitensi Nancy Hogshead e Carrie Steinseifer toccarono il bordo fermando il cronometro sul 55”92. Allora i millesimi non esistevano, e così fu impossibile non decretare l’ex aequo.

Altra olimpiade, stavolta invernale: a Sochi 2014, nella discesa femminile Tina Maze e Dominique Gisin vennero accreditate del medesimo tempo al traguardo (1‘41”57) e il regolamento convinse la federazione internazionale ad assegnare la vittoria a entrambe, che ben contente si spartirono il gradino più alto del podio.

Decisamente un epilogo migliore rispetto a quello del parallelo dei mondiali di Cortina 2021, quando Marta Bassino e Katharina Liensberger furono “costrette” (loro si) a dividere il primo posto per via di un farneticante calcolo di “penalty” determinato dalla scarsa omogeneità dei due percorsi di gara. La Maze, peraltro, può vantare un piccolo record: nel 2002 al Soelden, gigante d’apertura della stagione, vinse la gara facendo segnare lo stesso tempo di Nicole Hosp e Andrine Flemmen, dando vita all’unico caso della storia di una gara di sci alpino vinta da tre atlete contemporaneamente.

Passaggio di consegne

Di episodi da raccontare ce ne sarebbero ancora tanti, ma ne prendiamo uno che rappresenta anche un dolce ricordo per il nuoto paralimpico italiano: è quello dei mondiali di Londra 2019, quando Federico Morlacchi e Simone Barlaam toccarono insieme il bordo vasca nella finale dei 100 metri farfalla S9. I due, grandi amici anche nella vita, furono ben contenti di condividere il metallo più prezioso, riuscendo a coprire le due vasche con il tempo di 1’00”36.

Fu anche una sorta di passaggio di testimone, con Morlacchi che identificava il decennio che stava per concludersi e Barlaam che iniziava a estendere il suo dominio in quello alle porte. Ancora oggi i due continuano a gareggiare, e ai recenti mondiali di Manchester entrambi (specie Barlaam) hanno dimostrato di avere un feeling speciale con il podio, specie col gradino più alto. Ma quel giorno, se possibile, la gioia di condividerlo con qualcuno rese il tutto ancora più bello.

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