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Mondiali Basket 2023, c'era una volta Team USA: Kerr chiama Banchero per ricostruire il Dream Team

Il coach di Golden State non ha avuto dubbi quando c’è stato da scegliere il roster di 12 giocatori da portare in Asia: nessuna stella di prima grandezza, semmai il momento per ricostruire

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Roberto Barbacci

Roberto Barbacci

Giornalista

Giornalista (pubblicista) sportivo a tutto campo, è il tuttologo di Virgilio Sport. Provate a chiedergli di boxe, di scherma, di volley o di curling: ve ne farà innamorare

Quando 31 anni fa Team USA annunciò le convocazioni per le Olimpiadi di Barcellona, agli appassionati di basket parve di toccare il cielo con un dito. Quella squadra, destinata a passare alla storia con l’evocativo soprannome di “Dream Team”, avrebbe fatto un sol boccone di tutte le avversarie, oltre che elevato il basket a un livello mai visto prima anche e soprattutto fuori dalla rassegna a cinque cerchi.

Il mondiale non ha lo stesso fascino di un torneo olimpico, ma stavolta Team USA ha deciso di stravolgere le proprie abitudini, varando una squadra sostanzialmente giovane e poco esperta ad alti livelli, che al netto di un buon concentrato di talento dovrà fare i conti con qualche difficoltà in più del previsto per provare a piegare le tante formazioni rivali presenti nelle Filippine.

Steve Kerr vuole ripartire da qui

Steve Kerr però non ha avuto dubbi quando c’è stato da scegliere il roster di 12 giocatori da portare in Asia: magari mancheranno stelle di prima grandezza, ma il coach di Golden State (che ha ereditato la panchina della nazionale statunitense da Gregg Popovich, e che si avvarrà della collaborazione di Erik Spoelstra e e Tyronn Lue) ha pensato bene che questo fosse il momento buono per cominciare a costruire il Team USA del futuro.

Quello che punta alla riconferma sul gradino più alto a Parigi 2024, dopo il successo (un po’ sofferto) di Tokyo 2020. Quello che guarda alla next gen della pallacanestro americana come forse mai aveva fatto prima.

Un profilo basso che incute meno timore

Debita è la premessa: il settimo posto conquistato nel mondiale 2019 è una macchia destinata a rimanere tale per chissà quanto tempo ancora.

Team USA ha l’obbligo di lottare sempre per le posizioni che contano, quindi per la zona medaglie, e forse anche un argento può essere visto come un ripiego. Farlo però senza pezzi da novanta come LeBron James, Kevin Durant, Devon Booker, Steph Curry o Jimmy Butler (giusto per citarne alcuni, ma l’elenco sarebbe assai più corposo) non è la stessa cosa.

Anthony Edwards, il leader

Di sicuro questa versione incute un po’ meno timore negli avversari, al netto di giocatori che hanno abbondantemente dimostrato di meritare fiducia e considerazione. Il leader della spedizione made in USA non potrà che essere Anthony Edwards, ormai solida realtà a Minnesota, prospetto scelto alla numero 1 dai Wolves nel Draft 2020.

Ingram, Haliburton, Brunson e Reaves

I riflettori saranno poi puntati su Brandom Ingram, ex Lakers, oggi elemento di spicco ai Pelicans, e Tyrese Haliburton, di stanza ai Pacers, dove studia per diventare un prospetto da All Star Game e non solo.

Jalen Brunson, reduce da un’annata importante ai Knicks, e Austin Reaves, rivelazione nei Lakers che hanno visto arrestare la propria corsa soltanto nella Western Conference Finals contro Denver (a proposito: Nikola Jokic s’è preso un’estate di vacanza e non parteciperà al mondiale, con vivo sollievo degli avversari), sono altre due frecce notevoli all’arco di Kerr.

Gente che può far male a qualunque difesa, ma pur sempre chiamata per la prima volta a esprimersi su un palcoscenico tanto diverso da quello al quale sono abituati.

Il Mondiale di Banchero

Kerr non ha rinunciato al miglior difensore della stagione, cioè Jaren Jackson jr. di Memphis, e questo è comunque un segnale di cui tenere conto. Ci sono poi Walker Kessler di Utah e Bobby Portis di Milwaukee a garantire solidità sotto canestro.

E se Josh Hart (Brooklyn Nets) avrà libertà di movimento su entrambi i lati del campo, di sicuro dovrà avere un occhio di riguardo per ciò che accadrà nella metà campo difensiva il buon Paolo Banchero, prima scelta al Draft 2022, che al mondiale ha sempre detto di volerci andare, ma che fino a qualche mese fa pensava di farlo indossando la maglia della nazionale italiana.

Quel matrimonio che pareva essere già stato fatto e che aspettava solo il momento di essere celebrato a dovere s’è rivelato soltanto illusorio: non si fosse messo di mezzo il Covid sarebbe già stato consumato nell’autunno 2020, quando Banchero stava per rispondere alla chiamata del CT Meo Sacchetti per le gare di qualificazione agli Europei 2021 da disputare a Tallin.

La chiamata di Duke e l’Italia gli è stata stretta

A causa di un contatto avuto con un familiare che aveva manifestato un po’ di febbre, il giocatore (oggi) dei Magic fu costretto a rinunciare al viaggio, come imponeva il protocollo dell’epoca, e da allora non c’è stato più modo di organizzare un’altra convocazione. Poi però è arrivata prima la chiamata di Duke, quindi quella di Orlando al Draft 2022 e successivamente una bella stagione da rookie in NBA (con tanto di premio di miglior esordiente) che nella testa di Paolo hanno fatto scattare quella scintilla che l’ha convinto ad accettare di legarsi a Team USA, anziché all’Italia.

Banchero ha alzato l’asticella, si sente una piccola stella NBA, a differenza di ciò che poteva pensare di diventare nel 2020, e allora l’Italia gli è sembrata andare troppo “stretta”, preferendo accettare la chiamata di Kerr.

Difficile dire quanto spazio potrà ritagliarsi al mondiale: con Pozzecco sarebbe stato titolare inamovibile e primadonna assoluta, qui dovrà sgomitare. Ma forse sarà tutto Team USA a doversi fare largo contro avversari disposti a vendere cara la pelle, dalla Spagna di Scariolo (che nei grandi appuntamenti non sbaglia mai) alla Francia di Gobert, Batum e Fournier, oltre alla Slovenia di Doncic e alla Grecia di Antetokounmpo (se riuscirà a recuperare dall’operazione al ginocchio).

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