Da un lato la guerra civile in Congo, che rischia di abbattersi come una mannaia sul mondiale di ciclismo programmato in Ruanda a settembre. Dall’altro però ci sono anche e soprattutto i crescenti malumori di tante nazioni di primo piano del mondo del pedale, convinte che quella scelta dall’UCI non sia poi la scelta migliore tra tutte quelle che potevano essere fatte, tenuto conto anche dei costi notevoli per spostamenti e alloggio (molte nazionali rinunceranno alle prove giovanili pur di risparmiare sulla trasferta, dando la priorità ai professionisti). Insomma, il mondiale di Kigali resta avvolto nella nebbia, e nessuno può dire oggi con certezza se da qui a settembre i programmi non possano prendere altre strade.
- L'UCI smentisce l'ipotesi di uno spostamento
- L'ipotesi Martigny e l'esplosione del conflitto civile
- Tensione e costi spropositati. E pure il rebus vaccinazioni
L’UCI smentisce l’ipotesi di uno spostamento
Di sicuro c’è che oggi l’UCI è dovuta intervenire con un comunicato, teso a smentire qualunque ipotesi di rinvio della rassegna o spostamento della sede del prossimo mondiale. “In stretta collaborazione con il Comitato Organizzativo Locale, l’UCI sta monitorando con attenzione gli sviluppi nella regione orientale della Repubblica Democratica del Congo e il loro potenziale impatto sull’organizzazione dei mondiali.
Al momento in conflitto è limitato alla sola area della RDC e il Ruanda rimane completamente sicuro per quanto riguarda turismo e affari. Ci auguriamo una rapida e pacifica risoluzione della situazione, ribadendo con lo sport, e il ciclismo in particolare, sono potenti ambasciatori di pace, amicizia e solidarietà. Inoltre, a seguito della diffusione di voci sull’argomento, l’UCI chiarisce che al momento non è previsto alcun trasferimento dei mondiali dal Ruanda alla Svizzera o in qualsiasi altra sede, sempre per le ragioni sopra elencate”.
L’ipotesi Martigny e l’esplosione del conflitto civile
L’ultima parte del comunicato si riferisce ai rumors legati a un possibile spostamento della competizione iridata a Martigny, che avrebbe dovuto ospitare i mondiali 2020 (poi disputati causa Covid a Imola) e che di fatto sarebbe già stata individuata come sede alternativa in caso di rinuncia forzata di Kigali. La località elvetica avrebbe la possibilità di offrire condizioni economiche molto più vantaggiose per tutte le varie federazioni, che potrebbe così schierare al completo anche le selezioni giovanili, oltre a ricalcare abbastanza fedelmente la difficoltà e soprattutto l’altimetria del percorso in terra di Ruanda.
Molto dipenderà dagli sviluppi del conflitto armato al confine tra Congo e Ruanda, che a causa dell’avanzata dei ribelli congolesi dell’M23 (appoggiati dal governo ruandese) ha reso particolarmente instabile l’intera area di confine. Fonti internazionali sostengono che l’M23 è il gruppo armato più potente del Congo Orientale, deciso a proteggere i Tutsi congolesi (con un legame storico al genocidio ruandese del 1994). Il gruppo accusa gli estremisti Hutu, fuggiti in Congo, di essere una minaccia per i Tutsi. Il Ruanda, dal canto suo, sostiene che l’M23 si stia solo difendendo, e pertanto ritiene il conflitto assolutamente sotto controllo.
Tensione e costi spropositati. E pure il rebus vaccinazioni
Di sicuro c’è che le tensioni sono evidenti e rischiano di sfociare in azioni anche diplomatiche non di poco conto, con alcune federazioni che sarebbero pronte a chiedere ufficialmente all’UCI di rinunciare all’organizzazione in terra africana (anche se questa era stata presentata come la più grande rivoluzione degli ultimi decenni). Il Belgio, ad esempio, ha già annunciato di aver disdetto tutti gli appuntamenti programmati per la fine di febbraio con la ricognizione dei percorsi di gara.
C’è poi anche l’altra grossa questione legata alle vaccinazioni contro la febbre gialla: tanti corridori hanno programmato di sottoporsi alle cure preventive alla fine della primavera, ma chiaramente la macchina organizzativa dovrà giocoforza portarsi avanti per tempo. La ripresa delle ostilità potrebbe peraltro influire negativamente anche sul Tour du Rwanda, in programma a metà febbraio, poiché alcune tappe passano nelle vicinanze dei luoghi (oggi) maggiormente a rischio.