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Nadia Nadim, chi è la protagonista del derby del Meazza che ha stravolto il calcio femminile. Da rifugiato all'Onu

La protagonista del derby di Milano firma il primo gol al Meazza di una calciatrice del Milan: chi è e che cosa sappiamo di una protagonista assoluta dei nostri tempi e del movimento femminile

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Elisabetta D'Onofrio

Elisabetta D'Onofrio

Giornalista e content creator

Giornalista professionista dal 2007, scrive per curiosità personale e necessità: soprattutto di calcio, di sport e dei suoi protagonisti, concedendosi innocenti evasioni nell'ambito della creazione di format. Un tempo ala destra, oggi si sente a suo agio nel ruolo di libero. Cura una classifica riservata dei migliori 5 calciatori di sempre.

Nessuna donna più di Nadia Nadim incarna la figura femminile contemporanea: unica, irripetibile eppure capace di verbalizzare e interpretare valori universali che abbracciano ogni cultura, religione, provenienza. Per tenacia, determinazione, intelligenza Nadia ad ogni dichiarazione irrompe centrando lo snodo focale di ogni tema sul quale viene interpellata, destando nuovi stimoli.

Ogni sua frase sa rivelarsi più tagliente ed incisiva dei tanti gol siglati in una carriera epica, che non si è conclusa di certo con l’arrivo al Milan. La sua rete, nel primo derby disputato al Giuseppe Meazza, le restituisce quanto meritava. Ed evidenzia, fosse ancora necessario, quanto abbia in sé di straordinario eppure normalissimo questa calciatrice capace di segnare questi tempi avari di modelli.

Chi è Nadia Nadim, suo primo gol al Meazza

Nadia Nadim ha firmato più di 250 gol in carriera, il primo al Meazza per il Milan femminile in un derby con l’Inter intenso. Da giocatrice ha affrontato stadi, partite, avversarie temibili. Eppure nulla le è stato precluso o ha costituito un ostacolo insormontabile per una calciatrice eccezionale, dall’esistenza imparagonabile che, però, non l’ha mai indotta nelle interviste rilasciate e nelle dichiarazioni, da quando è un personaggio pubblico, a cercare altro se non la rilevanza della sua storia, del suo vissuto senza che ciò costituisse altro che patrimonio di verità.

Fin da principio, l’esistenza di Nadia e della sua famiglia è stata accompagnata da prove immani che rischiavano di trascinarla verso una condanna. Solo l’acume e la resistenza di sua madre le ha condotte verso altre vie e non piegarsi alla violenza. Tragedie che avrebbero potuto prendere il sopravvento, attribuire alla sua esistenza un tratto romanzesco incompatibile con l’evidenza dei fatti. Con il suo ruolo di osservatrice e protagonista continua e consapevole.

Testimone dell’orrore e della guerra

La testimonianza vivente e presente di uno stato delle cose trascurato, e assai, dalla Comunità Internazionale. Quando Nadia lascia Herat e l’Afghanistan, dove è nata nel 1988, è una bambina. Una creatura che però conosce già l’orrore della solitudine, della guerra e la perdita del padre ucciso dai talebani che dominano il Paese. E gli effetti perversi dell’ambivalenza, naturalmente.

Come ha raccontato poi la stessa Nadia, suo padre Rabani era un generale dell’Esercito nazionale siriano, fedele ad Ahmad Shah Massoud, Leone del Panshir. Ma non è stata una garanzia di salvezza.

La fuga dall’Afghanistan

Ha solo 10 anni quando il padre viene assassinato (non sanno nemmeno quando, con precisione) e mamma Hadima decide di lasciare con le figlie il Paese per il Pakistan per poi approdare in Europa. Passò anche per l’Italia, dove atterrò con le figlie al seguito grazie ai passaporti falsi che fu in grado di procurarsi, per poi chiedere asilo politico in Danimarca. Arrivarono con un viaggio avventuroso e rocambolesco, su dei camion che le portarono oltre il confine con un progetto diverso, ma approdate nel paese del Nord Europa, e una variazione rispetto all’itinerario previsto. Cercarono una via di piena realizzazione qui, e non dove aveva previsto Hadima.

L’Inghilterra era il sogno di sua madre, ma Nadim con sorelle e la mamma si ritrovarono in Danimarca in un campo profughi avendo chiesto di essere riconosciute come tali e avendo avviato la pratica per il riconoscimento, appunto di rifugiato politico. Si giocava anche a calcio, lì, e ciò consentì di fare gruppo, amalgamarsi e poi una volta conquistata la propria collocazione in seno alla società, di socializzare e conquistarsi un posto al sole.

Lo status di rifugiata e l’incontro con il calcio

Al calcio e alla Danimarca, la dottoressa specializzata in chirurgia ricostruttiva capace di suturarsi in autonomia una ferita, deve la seconda metà della sua esistenza fino a qui: a 16 anni, riconosciuto lo status di rifugiata, viene ingaggiata dall’Aalborg, debutta in massima divisione danese.

In breve il suo talento per lo sport emerge con prepotenza: le prime squadre, la stima degli allenatori che anche in Danimarca lottarono per averla in squadra e che la sostennero sempre (così riferirono i primi articoli su di lei), l’argento con la maglia della nazionale danese, la Champions League con Manchester City e Paris Saint- Germain – il club più strutturato nel calcio femminile – e più di 100 presenze in nazionale.

La laurea in Medicina e la mamma morta mentre era in diretta tv

Quando però si afferma, come effettuato in precedenza, che un personaggio come Nadia Nadim (gol al Meazza) merita di essere elevata a modello per lo spessore umano è anche per il calcio. Non solo per il suo curriculum sportivo impressionante.

Ambasciatrice Unesco per l’istruzione delle ragazze, attivista per l’emancipazione femminile, nel 2018 Forbes la inserisce tra le sportive più influenti al mondo, una calciatrice capace di concludere brillantemente il suo percorso di studi in Medicina con specializzazione in Chirurgia Ricostruttiva nel 2022, parlare sette lingue e misurarsi in ogni angolo del globo con la sua straordinaria convinzione.

Non ha mai celato la sua antinomia rispetto a stereotipi femminili, che sopravvivono nel calcio e nelle società anche più avanzate. Nel corso dei mondiali in Qatar, quando è opinionista Itv durante Danimarca-Tunisia, abbandona lo studio all’improvviso in diretta con il cuore spezzato.

Sua madre, la donna artefice del destino suo e delle sue sorelle, era stata investita all’uscita dalla palestra non riuscendo a sopravvivere alle ferite mortali riportate, quando il mondo incominciava a riaffacciarsi dopo la fase più devastante della pandemia allo sport, al clamore mediatico, agli impegni professionali.

Un addio che decise di rendere noto attraverso Instagram, all’indomani della perdita che l’ha più provata dopo quella del padre. Quel messaggio è, pur nel dolore presente, una visione sul domani che accompagna Nadia e le sue sorelle:

L’arrivo al Milan

Il Milan è un’occasione per cambiare, quando si presenta l’offerta. In Italia Nadia non ha ancora giocato, così quando le si presenta l’occasione di essere ingaggiata dal club rossonero e di collaborare con Ibrahimovic si sente nella condizione di poter fare questa scelta che per lei segna anche un ritorno, dopo quel viaggio della speranza che si concluse in Danimarca.

Oggi che è diventata il riferimento più forte, in Europa, per il movimento femminile Nadim lancia un messaggio alle donne che vivono nella reclusione morale. In un’intervista rilasciata a Sette disse: “Mantenete una mentalità positiva. Cercate di trovare la luce anche nelle ore più buie. Parlo per esperienza personale. Perché ciò che nessuno potrà mai togliervi è la speranza di avere, un giorno, degli strumenti utili a cambiare la vostra vita. Questo è ciò per cui lavoro nei progetti che mi vedono coinvolta fuori dal campo, in quanto uno degli obiettivi della mia vita è proprio fornire tali strumenti a quante più persone possibile. Di conseguenza, quando finalmente li avrete, mi raccomando: dateci dentro. E sì: come amo ripetere, non smettete mai di sognare in grande”.

Nadia Nadim, chi è la protagonista del derby del Meazza che ha stravolto il calcio femminile. Da rifugiato all'Onu Fonte: Getty Images

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