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Il ritiro di Lebron James? Perché non accadrà (c'entra anche suo figlio Bronny)

La corsa all'anello di "The Choosen One" è finita ai playoff, con la sconfitta dei Los Angeles Lakers per mano dei Denver Nuggets: The King è pronto a riflettere sull'opzione di dire basta

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Roberto Barbacci

Roberto Barbacci

Giornalista

Giornalista (pubblicista) sportivo a tutto campo, è il tuttologo di Virgilio Sport. Provate a chiedergli di boxe, di scherma, di volley o di curling: ve ne farà innamorare

Il proposito di Lebron James, The Chosen One, era noto a tutti: conquistare il quinto anello in carriera e farlo in coda a una stagione che, fino a un paio di mesi fa, appariva alla stregua di un incubo, o qualcosa di simile. I Los Angeles Lakers, però, avevano imparato dai loro errori: le correzioni avvenute quasi sul gong della trade deadline avevano offerto le risposte desiderate; la squadra più glamour dell’NBA sembrava davvero lanciata verso una clamorosa cavalcata che avrebbe dovuto portare a LA il 18esimo titolo.

Con un uomo copertina fuori dal comune, perché a 38 anni e mezzo LeBron James sapeva che questa sarebbe potuta essere – forse – l’ultima vera occasione della vita per mettere le mani sul Larry O’Brien Trophy. Proposito legittimo eppure spazzato via da un giocatore che, a prima vista, non meriterebbe un soldo di stima, quantomeno per il fatto che Nikola Jokic è ciò che di più lontano possa esistere dal concetto dell’atleta “perfetto”, in un’era in cui anche l’occhio vuole la sua parte.

Per la prima volta in vent’anni Lebron pensa al ritiro

Ma dietro quella montagna (non necessariamente di muscoli) si nasconde un talento sconfinato: per alcuni era buono solo a primeggiare quando la posta in palio era relativamente bassa (leggi regular season), perché poi (si vociava) ai play-off le cose sarebbe fatalmente cambiate.

In fondo anche James, spesso e volentieri, s’è risparmiato fino ad aprile, mostrando successivamente tutta la classe e il fisico da cyborg nelle gare da dentro o fuori. L’ha fatto in parte anche nelle ultime settimane, senza però riuscire ad evitare un clamoroso sweep che ha cancellato in un sol colpo tutte le velleità di casa Lakers. E aperto forse una crepa ancora più grossa perché, per la prima volta in 20 anni di carriera, LeBron James ha davvero lasciato intendere di voler cominciare a pensare al ritiro.

Lo strapotere di Denver e il fallimento dei Lakers

Debita è la premessa: la delusione per l’epilogo della serie contro i Nuggets è stata, probabilmente, la causa delle parole pronunciate dal giocatore nell’immediato post partita.

Ho molto da pensare a livello personale sulla possibilità di proseguire con il basket, devo riflettere a fondo.

Parole seguite all’ammissione di “fallimento” per un’annata che non s’è rivelata positiva per i Lakers che forse, dopo i successi nelle serie contro Grizzlies e (soprattutto) Warriors, si erano convinti di poter arrivare davvero in fondo.

Lebron isolato e compagni non all’altezza

L’incostanza di Anthony Davis e la scarsa produzione del supporting cast (D’Angelo Russell è completamente sparito contro Denver, e i vari Reaves, Hachimura, Schroeder e Walker IV quando hanno potuto hanno dato una mano, ma senza troppa continuità) hanno però presentato un conto salatissimo, tanto che James è dovuto ricorrere sovente agli straordinari.

Gara 4 ne è l’esempio calzante: 40 punti, 10 rimbalzi e 9 assist sono numeri fuori dall’ordinario, ma nella mente degli appassionati resteranno gli ultimi due possessi, specie l’ultimo con la stoppata di Aaron Gordon (col quale prima erano volate parole grosse) a certificare la sconfitta dei Lakers.

Le ambizioni di King James e quelle, non all’altezza, di LA

LeBron sente di poter ancora essere un fattore, ma il contesto in cui si ritrova non ne legittima le ambizioni di vittoria. Tanto che in molti hanno letto nelle sue parole un messaggio rivolto proprio alla dirigenza di Los Angeles, alla quale da sempre James s’è rivolto per chiedere di consegnargli una squadra pronta a vincere subito.

Arrivato a questo punto della carriera gioco solo per i titoli

ha ribadito “The Chosen One”. Una prospettiva però che i Lakers rischiano di non potergli offrire nei prossimi 12 mesi.

Lebron e Bronny: l’ultimo ballo assieme a suo figlio

Contrattualmente LeBron è legato alla franchigia californiana da altri due anni di contratto per complessivi 97 milioni di dollari. Il secondo anno, però, il giocatore può avvalersi di una player option per uscire dal contratto e, dunque, presentarsi sul mercato da free agent.

Il motivo è presto detto: nell’estate del 2024, con ogni probabilità, il figlio primogenito Bronny si renderà eleggibile per il Draft NBA e il sogno mai nascosto di papà James è quello di disputare l’ultima stagione della carriera condividendo lo spogliatoio con il figlio, un fatto più unico che raro a queste latitudini.

L’argomento non è stato toccato nella conferenza stampa seguita a gara 4, ma è chiaro che aleggia nell’aria e rende, pertanto, poco credibile l’idea di un ritiro immediato. C’è chi si è spinto oltre (vedi il network TNT) insinuando il dubbio che LeBron possa fermarsi nella stagione 2023-24 per poi tornare in quella successiva, evitando di usurare troppo il corpo per poi tentare un “ultimo ballo” assieme a Bronny. Ma fermare una “macchina” qual è il corpo di James a 39 anni potrebbe rappresentare un rischio, piuttosto che un’opportunità. E dopotutto avrebbe poco senso, a meno che davvero non ci sia modo per i Lakers di consegnargli una squadra in grado di lottare per il titolo.

Rifondazione Lakers: a che punto siamo

È questo il fronte maggiormente caldo, e anche quello che aiuta a capire meglio lo sfogo e la frustrazione mostrate da LeBron davanti ai microfoni. I Lakers hanno un salary cap piuttosto intasato ma, in vista della stagione 2023-24, hanno appena 7 giocatori sotto contratto: oltre a James e Davis ci sono Malik Beasley, Bo Mamba, Jarred Vanderlbilt, Shaquille Harrison e Max Christie.

In più ci sono due qualifying offer per Rui Hachimura e Austin Reaves, due tra i giocatori più positivi ammirati nel corso della stagione. Sostanzialmente, il margine di movimento per non andare oltre la luxury tax è da considerare intorno ai 29 milioni di dollari, non tantissimi per pensare di poter annettere giocatori pronti da subito per andare a caccia del titolo.

Kyrie Irving e Trae Young per convincere James

James non ha mai nascosto di voler tornare a fare coppia con Kyrie Irving, corteggiato a febbraio ma poi finito ai Mavs (con risultati davvero deludenti). Anche Trae Young è un nome che fa gola in California, anche perché con Atlanta l’idillio pare essersi incrinato nell’ultima corsa play-off. Basteranno un paio di nomi “forti” per convincere LeBron ad allontanare l’idea di ritirarsi dalle scene?

Probabilmente il suo intento era proprio questo: “forzare” la dirigenza Lakers a smuovere le acque per garantirgli quel supporto che è mancato nella serie contro i Nuggets. L’ha fatto più volte in passato (e a febbraio la cosa aveva funzionato), ha deciso di cominciare a farlo un’ultima volta, consapevole che il suo tempo sta per finire.

Ma ritirarsi dopo aver subito una stoppa da Gordon nell’ultima azione della carriera sarebbe oggettivamente troppo: non ci crede LeBron per primo, farebbe bene a non credergli nemmeno chi da 20 anni ne ammira talento, abnegazione e spirito combattivo.

L’unico vero pensiero oggi va alle vacanze, magari (perché no) ancora una volta in Italia, meta sempre gradita. E il cerino in mano torna nuovamente alla dirigenza Lakers, le cui spalle dovranno essere, una volta di più, belle larghe per sostenere il peso della pressione.

Il ritiro di Lebron James? Perché non accadrà (c'entra anche suo figlio Bronny)

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