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Rugby, il commiato di Crowley all’Italia: "L’orizzonte è Azzurro, questo gruppo darà soddisfazione"

In un’intervista esclusiva a Sky Sport, il tecnico neozelandese ha salutato tutti con una certezza: “Arrivai nel 2021, l’Italia era al 14esimo posto del ranking. La lascio 27 mesi dopo 11esima".

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Roberto Barbacci

Roberto Barbacci

Giornalista

Giornalista (pubblicista) sportivo a tutto campo, è il tuttologo di Virgilio Sport. Provate a chiedergli di boxe, di scherma, di volley o di curling: ve ne farà innamorare

Il biglietto dell’aereo che lo porterà in Giappone, a guidare gli Honda Heat, è già pronto per essere mostrato all’imbarco. Ma prima di salutare il vecchio continente Kieran Crowley s’è concesso un ultimo sguardo a quel che hanno detto gli ultimi due anni della sua vita da commissario tecnico dell’Italrugby, certamente complicati pensando che la panchina sulla quale s’è seduto era quella italiana.

Una di quelle che solitamente scotta, specie da quando il movimento rugbystico azzurro ha subito una sorta di involuzione (almeno nei risultati) che non è andata di pari passo con la crescita di una nuova generazione di giocatori di valore assoluto, incapace però di reggere il confronto con quelle di altri paesi (tradotto: all’estero crescono più di noi).

Il Benetton, poi l’Italia

Un cerchio che s’è chiuso pensando alle 5 stagioni trascorse da head coach del Benetton, che sotto la sua guida ha conosciuto vette mai raggiunte prima (prima qualificazione play-off nel Pro14, oggi Unired Rugby Championship, e primo trofeo continentale vinto con la Pro14 Rainbow Cup del 2021). Risultati che convinsero la FIR ad affidargli la panchina della nazionale, per giunta in un momento nel quale non tutti i nodi stavano venendo al pettine, con le 13 sconfitte su altrettante gare dirette da Franco Smith.

Poco più di due anni più tardi, la fine del rapporto per far spazio a Gonzalo Quesada ha suggerito a Crowley di tirare le somme, dando un senso a 27 mesi nei quali ha contribuito a portare il rugby italiano nel futuro più di quanto abbiano fatti i suoi predecessori.

Grande gruppo ma il gap resta

In un’intervista esclusiva a Sky Sport, il tecnico neozelandese è voluto ripartire da un dato:

Quando arrivai, nell’estate del 2021, l’Italia era al 14esimo posto del ranking. La lascio 27 mesi dopo che è 11esima, con la certezza di aver lavorato tanto e bene e di aver costruito solidi basi per l’avvenire. C’è stato un cambio nell’atteggiamento, nel gioco e anche nella consapevolezza dei propri mezzi. Abbiamo fatto riavvicinare la gente, che un po’ s’era lasciata andare sulla scia dei risultati che non arrivavano. E soprattutto abbiamo instillato un senso di responsabilità nei giocatori, che hanno imparato a gestirsi da soli. Se mi guardo indietro posso dire di essermi divertito e di aver potuto dare tanto, ma poi quando si tirano le somme vanno considerati anche gli avversari.

Due mondi ancora troppo distanti

Argomento questo tornato d’attualità dopo i pesanti rovesci subiti ad opera di Nuova Zelanda e Francia nelle due gare che hanno sancito l’ennesima eliminazione al primo turno dell’Italia in una fase finale della Coppa del Mondo.

Parliamo di due mondi ancora troppo distanti. Non dimentichiamoci che entrambe contro di noi si giocavano la qualificazione ai quarti, ed è evidente che nelle sfide da “dentro o fuori” hanno dimostrato di averne di più. Ai mondiali tutte le squadre alzano il loro livello, più di quanto non accade nel Sei Nazioni o nello United Rugby Championship, tornei buoni per fare esperienza, ma che restano distanti per intensità e qualità della proposta. Tutti arrivano al mondiale al massimo della forma, poi di solito smantellano tra addii e nuove sperimentazioni. Ecco, anche questo è un dato di cui tener conto: l’Italia non smantellerà nulla, perché questo gruppo è soltanto agli inizi. E per questo dico che nel 2027 e nel 2031 potrà presentarsi più forte e competitiva che mai. E mi sento vuoto al pensiero di non poter lavorare con ragazzi come Menoncello, Marin o Zuliani, che rappresentano il futuro di questa nazionale.

Le basi per il futuro

Crowely nella sua chiacchierata ha toccato tanti argomenti, ripensando al debutto contro All Blacks, Argentina e Uruguay nel novembre del 2021, ma soprattutto alla rovinosa sconfitta di Batumi contro la Georgia che ha rischiato di far implodere tutto il sistema rugby italiano su se stesso.

Quella partita ci è servita da lezione per capire dove dovevamo andare. Non a caso con Samoa e Australia nell’autunno del 2022 la musica era già cambiata. Il rimpianto più grande è il non essere riusciti a conquistare una vittoria nel Sei Nazioni 2023, dove pur giocando bene non siamo stati abbastanza cinici per sfruttare la mole di gioco creata. In questi due anni però l’Italia ha riconquistato rispetto e credibilità, e non saranno certo due sconfitte contro All Blacks e Francia a mandare all’aria tutto il lavoro fatto.

Il coach neozelandese, che in Giappone allenerà tra gli altri Franco Mostert (impegnato sabato con il Sudafrica nella finale contro la Nuova Zelanda) e Pablo Matera, colonna del XV dei Pumas, spiega poi quali saranno le basi sulle quali poter poggiare l’ulteriore crescita della nazionale azzurra:

Lavorare su potenza, esplosività e stazza. Il gap con le squadre del Tier One lo puoi provare a colmare se vai ad affrontarle sul loro stesso terreno: Sudafrica e Irlanda, per dire, nei secondi tempi mandano in campo gente che nulla ha da invidiare ai titolari. E questo fa la differenza, come l’ha fatta per Fischietti e Ruzza affrontare gente come Atonio o Willemse, che hanno una cinquantina di chilogrammi in più da spendere in mischia chiusa. Se nel rugby non ci fossero le sostituzioni, allora sarebbe un’altra storia. Chiaro che tutto passerà per la meticolosità con la quale si curerà la fase di preparazione durante l’anno: anche le franchigie dovranno dare il loro contributo. Per me l’Italia ha un buon futuro davanti, e auguro a chi verrà dopo di me di raccogliere i frutti di ciò che è stato seminato in questo biennio.

Che Crowley ha chiuso con 10 vittorie e 17 sconfitte, ma dando alla nazionale una nuova prospettiva di crescita che non è bastata per superare il girone di qualificazione dell’ultimo mondiale.

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