Il cielo sopra Parigi si colora di verde, e ancora una volta la storia ha voltato le spalle agli All Blacks. Che cedono in coda a una finale che più strana non avrebbe potuto essere. Il Sudafrica s’impone per 12-11 sfruttando al massimo i calci di Handré Pollard, l’uomo che al mondiale non doveva nemmeno andare (la coppia Nienaber-Erasmus l’ha voluto portare in Francia a tutti i costi, e tra semifinale e finale ha fatto la differenza al piede), che con 4 piazzati mandati a referto nella prima mezzora ha consegnato agli Springboks la quarta Coppa del Mondo della loro storia.
Ma è una beffa atroce per la Nuova Zelanda, costretta a giocare in inferiorità numerica praticamente dall’inizio, considerando il giallo rimediato da Frizell dopo soli 2’ (e l’episodio porta anche alla sostituzione forzata del tallonatore sudafricano Mbonambi, assenza pesantissima in touche e in mischia chiusa) e soprattutto il rosso sventolato in facccia al capitano Sam Cane al 29’ dopo un placcaggio alto su Kriel. I gialli rimediati nella ripresa da Kolisi e Kolbe non servono a riequilibrare fino in fondo un match che alla fine si decide su due errori dalla piazzola, il primo di Mo’unga, il secondo di Jordie Barrett, che vanificano la meta di Beaudean Barrett, l’unica del match, che aveva alimentato i propositi di rimonta dei nezoleandesi. Che 12 anni fa contro la Francia vinsero 8-7, cioè con lo scarto minore in una finale. Ma che adesso hanno scoperto cosa significhi perdere per un misero punto.
Gialli, rossi e piazzati
La finale non è stata bella come buona parte delle gare a eliminazione diretta di questo mondiale, ma in fondo è stata la fotografia esatta di quel che si andava dicendo alla vigilia: Sudafrica dedito a rompere il gioco e a far leva sulla solidità e sulla compattezza del proprio pacchetto arretrato (anche se l’infortunio lampo di Mbonambi ha complicato, e parecchio, le cose), All Blacks desiderosi di accelerare il ritmo della partita, giocando molto alla mano, ma sbagliando tante giocate un po’ per la frenesia, un po’ per via delle condizioni scivolose dell’ovale (pioggia leggera ma a tratti fastidiosa su Parigi).
Di fatto però lo spartito della finale salta in fretta: il giallo di Frizell e lo stop forzato di Mbonambi (dentro Fourie) offrono una partenza diversa dalle attese, con Pollard subito chirurgico al piede sulla punizione iniziale e sulla seconda di serata, arrivata su un fallo commesso da Codie Taylor. Che sbaglia tanto in touche, tanto che gli Springboks ne conquistano tre nella prima mezzora. La Nuova Zelanda accusa il colpo, fatica a sciorinare il bel gioco delle precedenti gare, ma si tengono in vita con un piazzato di Mo’unga al quale risponde subito il solito Pollard, che beneficia di un fallo di Savea che impedisce al Sudafrica di liberare l’ovale in un raggruppamento.
Il rosso di Cane complica i piani di Ian Foster, con Pollard che al 34’ piazza il quarto e ultimo calcio della sua serata. Ma negli ultimi 5’ del primo tempo si capisce già che gli All Blacks di arrendersi non ne vogliono sapere: Ioane va a un passo dalla meta, poi Mo’unga piazza dopo un fallo di Vermaulen e il 6-12 all’intervallo è comunque una buona base dalla quale provare a ripartire.
Resistenza a oltranza
L’avvio a spron battuto del Sudafrica in apertura di ripresa fa capire però che l’antifona Erasmus l’ha capita: Arendse non riesce a schiacciare l’ovale dopo una giocata di Willemse, ma l’inerzia pare tutta dalla parte degli Springboks, che al 6’ però restano in 14, complice un placcaggio alto di Kolisi ai danni di Savea. E gli All Blacks provano subito a ribaltarli: dopo un’azione insistita Aaron Smith (all’ultima partita in nazionale) vola a schiacciare in meta, ma il TMO interviene vanificando la marcatura per un in avanti di Savea in rimessa laterale, dove c’è anche un fallo di Etzebeth che consegna di nuovo l’ovale ai neozelandesi, con Beauden Barrett che al 58’ riceve da Tele’a e riesce a trovare il modo per bucare la retroguardia sudafricana.
Mancano 22’, ma il punteggio non cambierà più, perché Mo’unga sbaglia la trasformazione (da posizione abbastanza decentrata) e col passare dei minuti l’azione dei neozelandesi si fa un po’ più compassata. L’ultimo treno per la gloria passa al 73’: in una delle rare sortite al largo degli All Blacks, Kolbe (tra i migliori dei sudafricani) intercetta volontariamente l’ovale, pescato dal TMO e spedito giustamente in panchina con un giallo sacrosanto. Jordie Barrett s’incarica di calciare da quasi 50 metri, senza però centrare i pali. Ma in parità numerica c’è ancora luce per sperare di mettere la freccia: Nienaber ed Erasmus chiamano la “Bomb Squad”, seppur a ranghi un po’ ridotti, e il Sudafrica in qualche modo riesce a tenere a distanza i neozelandesi, che provano a risalire il campo (con fatica) e che a 30 secondi dalla fine perdono l’ovale decisivo, complice un in avanti che consegna alla mischia Springboks l’opportunità per entrare nella storia.
Sudafrica: il poker mondiale
È la quarta Webb Ellis Cup che fa scalo a Johannesburg, come già era successo nel 1995, nel 2007 (sempre in Francia) e quattro anni fa in Giappone. È anche un cerchio che si chiude: molti dei big attuali saluteranno la nazionale, ma lo faranno da eroi dopo aver vinto un mondiale nel modo più incredibile, vincendo tutte e tre le gare a eliminazione diretta con un misero punto di vantaggio (contro Francia, Inghilterra e Nuova Zelanda). Giusto per far capire quanto possa essere sottile il confine tra paradiso e inferno.