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Serie C, Cesena: "Romagna mia" sotto la Curva Mare, il rito dei calciatori di Toscano e del popolo bianconero

1° giugno, Cesena-Vicenza: il pubblico del “Manuzzi” attese qualche istante prima di sfollare. Erano passati una decina di giorni dalla tremenda alluvione: lo stadio intonò l'inno del popolo. E' diventato un rituale

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È cominciato tutto per farsi forza e coraggio appena dopo aver visto la propria terra inondata da fiumi di fango e detriti. No, il calcio stavolta non c’entrava nulla: non c’era una vittoria da celebrare, né tantomeno una sconfitta da esorcizzare.

C’era solo la voglia di sentirsi uniti, di fare squadra, di tirarsi su le maniche e cominciare a spalare. C’era la voglia di voltare pagina e di ricominciare, ma di farlo assieme, appunto “come una squadra”.

Di guardarsi in faccia e provare a superare l’ansia e la paura con la forza della musica e delle parole, di un inno che potesse in qualche modo far remare tutti dalla stessa parte.

“Romagna Mia” è l’inno di un’intera regione, forse il brano italiano (assieme a “Nel blu, dipinto di blu” e “L’Italiano”) più conosciuto al mondo.

A Cesena, fieri e orgogliosi

A Cesena ne vanno fieri e orgogliosi, perché sanno che loro della Romagna sono “la capitale”, e non è un caso se proprio la squadra bianconera sia stata più volte ribattezza la “nazionale della Romagna”.

C’è un sentimento di amore per la propria terra che ha pochi eguali in tutta la penisola. E che fa nascere gesti semplici e spontanei, destinati però a rimanere impressi nella mente di chi ha la fortuna di viverli da vicino.

La forza per reagire

Quel 1° giugno, in coda a Cesena-Vicenza, gara valevole per i play-off di Serie C, tutto il pubblico del “Manuzzi” attese qualche istante di più prima di sfollare, come se sentisse che c’era bisogno ancora di restare su quegli spalti ad applaudire i propri beniamini, appena qualificati al turno successivo grazie al secondo 0-0 ottenuto contro i biancorossi.

Erano passati appena una decina di giorni dalla tremenda alluvione che aveva colpito tutta la regione, in particolar modo proprio la Romagna, e ancora molte strade erano persino interdette al traffico. Vennero alla ribalta su scala nazionale storie e atti di grande coraggio, tra cui anche quello di un tifoso del Cesena che mise in salvo mamma e figlia.

C’era voglia di ricominciare, anche perché la stagione estiva bussava alle porte, ma per un attimo ancora il desiderio era quello di contemplare quei ragazzi che, seppur a fatica, avevano portato a casa quanto desiderato.

E presero la via della Curva Mare

Ragazzi che istintivamente dopo il triplice fischio presero la via della Curva Mare, andando a salutare il tifo organizzato, quello che al “Manuzzi” è qualcosa in più di un semplice valore aggiunto: un muro bianconero spalmato su due settori, una curva come anche in Serie A se ne vedono poche.

Ed è in quel momento che spontaneo parte il coro più caro ai romagnoli:

Sento la nostalgia d’un passato, dove la mamma mia ho lasciato.

I giocatori si stringono in un abbraccio collettivo, formando una catena che si snoda lungo tutta l’area di rigore. E cantano insieme ai tifosi. Li guardano, li sentono vicini.

Lo straordinario modo per vincere il dolore

Qualcuno ha gli occhi lucidi, stremato dalla fatica e dall’emozione del momento. Tutto lo stadio però vuol partecipare a quel rito collettivo: anche i tifosi del Vicenza, benché delusi dall’esito della contesa, con voce bassa partecipano al coro.

È uno straordinario modo per esorcizzare il dolore provocato da quella tremenda alluvione che solo qualche giorno prima aveva messo in ginocchio un’intera regione. E il calcio in quel momento era servito a molti per provare a dimenticare, o quantomeno trovare un modo per distrarre la mente dai problemi della quotidianità.

Un rito collettivo, legame indissolubile

Non era la prima volta che giocatori e tifosi del Cavalluccio intonavano assieme “Romagna Mia” sotto la Curva Mare. Era successo già in occasione della vittoria nel derby col Rimini, e anche dopo quella ottenuta con la Fermana.

Ma quella volta si creò un legame unico e indissolubile, destinato a dar vita a qualcosa in più di una semplice cantata sotto la curva. Tanto che quest’anno, appena partita la nuova avventura nel campionato di Serie C, quel rito ha trovato una sua dimensione.

Dopo ogni vittoria, tanto in casa quanto fuori, i giocatori bianconeri sanno che ci sono i tifosi ad attenderli per cantare assieme l’inno della Romagna.

Il brano di Secondo Casadei nel lontano 1954

Quel brano scritto da Secondo Casadei nel lontano 1954, che ha fatto conoscere una regione in tutto il mondo e che ancora oggi viene cantato e proposto in migliaia di versioni, anche strumentali.

Quella della Cesena del calcio, però, è unica come nessun’altra. Anche perché la cantano ragazzi che la Romagna l’hanno conosciuta grazie al pallone, ma che la sentono già come la propria casa. Anzi, la loro “Casetta Mia”, titolo originale del brano pensato da Casadei (e che fortuna che gliel’abbiano fatto cambiare…).

La cantano i calciatori, Mimmo Toscano e lo staff

La cantano italiani di ogni regione, francesi (il trequartista Jonathan Bumbu, peraltro tra i più intonati del gruppo), albanesi (il gioiellino Christian Shpendi, gemello di Stiven, appena passato all’Empoli), addirittura sierraleonesi (Augustin Kargbo, ex Crotone e Reggiana).

La canta Mimmo Toscano, che chiaramente vuole con sé tutti gli uomini dello staff, che superato un po’ di imbarazzo iniziale hanno cominciato a intonarla anche loro. La canta un popolo che in quell’abbraccio a fine partita trova la forza per pensare già alla prossima, deciso a riprendersi il palcoscenico della B che da troppi anni (era il 2018) ha chiuso le porte alla “nazionale” della Romagna.

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