Carlos Alcaraz si prende la finale dell’Atp di Cincinnati dopo 2 ore e 19’ di semifinale: la resistenza di Hubert Hurkacz è durata 3 set, ha spolverato 39’ di gran bel gioco (il primo set) ma poi è evaporata non appena il numero 1 al mondo s’è fatto forza sui concetti di immanenza e trascendenza.
Immanente, Carlos, perché tutto è dentro di lui, così chiaro e lampante: come qualche super eroe, si deve prima arrabbiare o motivare per diventare trascendente e andare oltre i limiti oggettivi dell’esperienza. Finisce 2-6, 7-6, 6-3 in una scala ascendente nella quale all’apice dell’uno è coinciso il declino dell’altro fino a che – raggiunta la fase mediana – le due fasi si sono specularmente invertite e, mentre Alcaraz diventava satanasso, Hurkacz s’è fatto sempre più umanissimo. Carlito all’ultimo atto contro Novak Djokovic: 7-6, 7-5 del serbo ad Alexander Zverez,
- Hurkacz, lo yogurt e il cemento
- Il più grande amico di Sinner
- Re Roger, la fonte di ispirazione
- Alcaraz e un set da dimenticare
- Il tie break: lo diceva la statistica
- Il terzo set: quando Carlos diventa ingiocabile
Hurkacz, lo yogurt e il cemento
Hubert Hurkacz è una pertica di quasi 2 metri. Vegano: frutta secca, pasta e verdure, yogurt. Un trittico di ingredienti per farselo amico per sempre. A Shanghai giocherebbe tutto l’anno perché meglio di come mangia lì, non mangia in alcun altro posto.
È stato numero 9 al mondo, roba di due anni fa: da lì ha conservato costanza me è con gli Slam che non ha mai avuto grande feeling, di rilievo c’è solo una semifinale a Wimbledon nel 2021. 6 titoli nel singolare, 4 nel doppio (due Masters 1000: Parigi 2020 in coppia con Félix Auger-Aliassime, Miami 2022 insieme a John Isner): si alterna e funziona bene così, se gli dai da mangiare cemento ne va ghiotto, lo fai felice.
Cinque successi nell’individuale su sei li ha messo a referto lì, sul cemento: Winston-Salem, Delray Beach, Miami, Metz, Marsiglia. Il 2021, per ora, è la pietra miliare: tre vittorie e il best ranking personale.
Il più grande amico di Sinner
Quando si è imposto a Miami, ha negato la gioia a Jannik Sinner: l’altoatesino s’è piegato in finale, 7-6, 6-4. Di lui Jannik ha detto che è il più grande amico che ha nel circuito: si allenano insieme, ne ha sempre parlato in termini entusiastici. Un bravissimo ragazzo.
A 26 anni è già il tennista polacco più forte di sempre, quando colpisce la pallina con la racchetta – nel frangente di qualche millesimo prima – chiude gli occhi: come se giocasse in un metaverso nel quale gira tutto a dovere.
Re Roger, la fonte di ispirazione
S’è sempre lasciato ispirare da Roger Federer, come una miriade di altri tennisti: però Hurkacz lo vede prima come modello umano. Aperto, modesto: di Re Roger ha preso in prestito il carattere, poi cercato di mettere in bagaglio l’indole tennistica.
Lui, Hubert, i livelli di fantasia e imprevedibilità di Federer non li ha: il suo è un tennis solido, efficace, per certi versi essenziale. Quando fa il creativo, però, diventa ancora più incisivo perché quei colpi a occhi chiusi da perfezione stilistica, dentro ce li ha.
Alcaraz e un set da dimenticare
È anche tutta questa roba qua, il polacco che ha provato a fare lo scalpo a Carlos Alcaraz: ne aveva i mezzi e i modi. Ne aveva la possibilità. Primo set senza storia: se Carlito non perviene è un po’ per le solite lacune mostrate nelle ultime settimane – niente di nuovo: approccia male alle partite, si deve fare male per rimettersi in riga – e un po’ perché Hubert lo mette in una bolla da cui non esce.
La foga di Alcaraz si accende e si spegne prestissimo: gioco 1, serve Hurkacz. Lo spagnolo si costruisce due palle break con diritto e rovescio, risponde che è una bellezza. Pensi che finalmente ha capito come si entra in gara: invece la calma serafica del polacco gli frega tutto.
Spazzate le break balls, Hurkacz va 1-0. Poi brekka lui: Carlito resta a zero nel turn di servizio, poi sparisce e regala. Regala tutto, manda a farsi benedire anche altre tre palle break. Tiene per sé solo il gioco 4 e il gioco 6. Hubert chiude 6-2 con 4 aces e il 75% di punti con la prima di servizio. Per dire quanto Carlito non l’ha vista mai: 48% di punti vinti al servizio, 38& di punti vinti di risposta. Come sempre successo a Cincinnati, ha ceduto un altro set.
Il tie break: lo diceva la statistica
E poi, magicamente, spunta l’altro Alcaraz: quello che non può concedersi passi falsi. Va a prendersi il secondo set sciupando altre quattro palle break e non concedendone nessuna: entrambi tengono il servizio e arrivano fino al tie break.
Anche questa era storia scritta. Cinque dei sette set complessivi giocati dai due si sono chiusi al tie break. Carlos perde il servizio al secondo gioco, poi lo strappa all’avversario due volte e archivia sul 7-4. I punti dello spagnolo vinti di servizio salgono al 71%: cresce il numero 1 e cala il polacco che racimola un misero 29% di punti conquistati di risposta.
Il terzo set: quando Carlos diventa ingiocabile
Nel terzo set scende in campo la bellissima versione di Carlos: diventa dominante, piazza il break al quarto gioco e si porta 4-1 col turno di servizio successivo. Hubert risente, infila errori gratuiti, non serve più così bene e fatica a rispondere alle bordate dello spagnolo che comincia a farlo correre lungo l’arco del campo.
Quando Alcaraz diventa questo, capisci perché a 20 anni è già il migliore al mondo: non esiste antidoto per silenziarne completezza e compiutezza. Restano due bombardieri ma lo spagnolo tiene l’avversario sul 23% di punti in risposta: niente di niente.
Il nono gioco è un testa a testa che Alcaraz interrompe sul 30-30, quando affonda in lungolinea due volte e lascia Hurkacz a contare i rimpianti per quel tie break del secondo set che è stata la grande occasione (persa) della sua partita.