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Trump "minaccia" i Washington Commanders di NFL: "Volete il nuovo stadio? Tornate a chiamarvi Redskins"

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Roberto Barbacci

Roberto Barbacci

Giornalista

Giornalista (pubblicista) sportivo a tutto campo, è il tuttologo di Virgilio Sport. Provate a chiedergli di boxe, di scherma, di volley o di curling: ve ne farà innamorare

Chissà se quando Donald Trump parlava di far tornare grande l’America aveva in mente anche di far tornare qualche “vecchio” logo sulle maglie di alcune delle franchigie storiche dello sport a stelle e strisce. Il caso di Washington al riguardo è emblematico: il passaggio (molto) forzato da Redskins a Commanders ha tenuto banco a lungo nel decennio scorso, con buona pace dei tradizionalisti che in quell’appellativo (Redskins si traduce con Pellerossa, cioè i nativi americani) non trovavano nulla di offensivo o razzista. E Trump della “tradizione” è da sempre fervente sostenitore.

La “minaccia”: “Se volete lo stadio, tornate a chiamarvi Redskins”

L’argomento Redskins sembrava ormai essere stato consegnato alla storia, ma il presidente degli Stati Uniti ha pensato bene di tirarlo nuovamente fuori. E naturalmente l’ha fatto a modo suo, cioè con una provocazione dietro la quale si nasconde un potenziale scontro tra giganti: se la franchigia della capitale non tornerà al suo nome originario, cioè Redskins, il tycoon farà di tutto per impedirle di costruire il nuovo stadio.

L’ha detto durante una breve dichiarazione effettuata a margine di un evento di golf, tenutosi domenica mattina. “Sto pensando seriamente di imporre una restrizione all’attuale franchigia dei Washington Commanders: se non torneranno a chiamarsi Redskins, sbarazzandosi nel nuovo e ridicolo appellativo in essere dal 2020, non procederò a realizzare alcun accordo per la costruzione di un nuovo stadio”.

Il progetto da 4 miliardi: senza i fondi governativi salta tutto?

La questione sta molto a cuore al pubblico di Washington: dal 1996 infatti le gare casalinghe della franchigia vengono disputate al Northwest Stadium di Landover, in Maryland. Dopo anni di trattative serrate, lo scorso aprile la proprietà dei Commandes (con il CEO Josh Harris) ha raggiunto un’intesa con le istituzioni locali, rappresentate dal sindaco Muriel Bowser e d’intesa con il commissioner della NFL, Roger Goodell, per riportare la squadra nella città d’origine.

Il nuovo stadio dovrebbe sorgere al posto dell’attuale “Robert Francis Kennedy”, in disuso ormai da 30 anni: il progetto del nuovo impianto da 65.000 posti prevede un esborso di quasi 4 miliardi di dollari, di cui 2,7 garantiti dalla franchigia e il restante da attingere dalle casse federali. Ed è proprio su questo aspetto che Trump vorrebbe provare a forzare la mano: se il governo americano dovesse decidere di non concedere tutte le autorizzazioni e le somme previste, ecco che il piano dei Commanders rischierebbe di andare seriamente in fumo.

E il ritorno della franchigia nella capitale rappresenta un passaggio chiave per il rilancio di un brand che ha faticato a trovare una sua identità dopo il passaggio “forzato” da Redskins e Commanders, avvenuto peraltro in piena pandemia nel 2020.

Trump ce l’ha anche con i Guardians del baseball

Le parole di Trump hanno interessato non soltanto il football: anche il baseball è finito nel mirino dell’inquilino della Casa Bianca, che ha chiesto ai Cleveland Guardians di tornare a loro volta al nome originario di Indians.

Matt Dolan, il proprietario della franchigia, è un uomo molto vicino alla politica e i candidati da lui sostenuti hanno perso ben tre elezioni politiche consecutive per via di quello sciagurato cambio di nome. Non capisce proprio che se tornasse indietro potrebbe vincerle all’istante. Gli Indians, come i Redskins, sono stati trattati in modo ingiusto”.

A corredo delle parole, l’acronimo finale MIGA, traslato dal famoso MAGA: “Make Indians Great Again”.

Il “ricatto” sul vecchio RFK: un pezzo di storia (anche) calcistica

Chissà ora cosa faranno le due franchigie tirate in ballo: a Washington il cambio da Redskins a Commanders non ha prodotto effetti tanto positivi, con le proteste di attivisti e parte delle aziende sponsor dello scorso decennio che hanno progressivamente lasciato spazio a qualche afflato di pura nostalgia.

Certo Trump, con la mossa del “ricatto” sullo stadio, potrebbe aver aperto una crepa: il vecchio RFK è l’impianto che ha ospitato la finale di Supercoppa Italiana del 1993 tra Milan e Torino (vinsero i rossoneri 1-0, gol di Marco Simone), nonché quello nel quale il saudita Saeed Al-Owairan realizzò il gol più bello del mondiale di USA 1994 contro il Belgio (una progressione alla Maradona partendo da centrocampo).

Ospitò anche una gara dell’Italia, quella pareggiata 1-1 col Messico. Adesso diventa il pretesto per un’altra scorribanda dell’estroso Trump.

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