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Chi è Matteo Arnaldi, il nome nuovo del tennis italiano esploso agli US Open

Il ligure è una sorpresa: 22 anni e mezzo, fresco del numero 55 del ranking. A Flushing Meadows ha fatto il primo grande salto avanzando fino al terzo turno in un torneo dello Slam

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Auden Bavaro

Auden Bavaro

Giornalista

Lo sporco lavoro del coordinamento: qualcuno lo deve pur fare. Eppure, quando ha modo di pigiare le dita sulla tastiera, restituisce storie e racconti di sport che valgono il biglietto

Matteo Arnaldi contro Carlos Alcaraz agli ottavi di finale dello US Open: chi l’avrebbe mai detto. Non è la presenza di Mostro, lo spagnolo numero 2 del ranking destinato a riscrivere (frantumare?) i record della storia del tennis, a lasciare stupiti, ovvio.

Semmai è lo sfidante – ci hai ammaliato Matteo, ma per qualcuno non eri e non sei una sorpresa caduta dal cielo – a lasciare di stucco. A nemmeno 23 anni e con la certezza di essere finalmente dentro la top 50 del ranking Atp, Arnaldi prova a fare scacco matto al Re della Next Gen: contro Alcaraz a Flushing Meadows.

Anche solo per vedere che effetto fa sfidare il Mostro in una fase già avanzata dello Slam. Poi, è mica detto che debba essere solo questo. Arnaldi i colpi li ha, non ha ancora l’esperienza maturata a questi livelli ma – quantomeno a sfrontatezza – sarà partita alla pari.

Il primo pensiero, la pasta

Il primo pensiero dopo aver vinto la prima gara allo US Open – sui 5 set – in carriera è stato… per la pasta.

Una bella carbonara è proprio quello di cui ho bisogno.

Matteo Arnaldi è giovane, ha 22 anni e mezzo, ma priorità alle quali nella vita non si può e non si deve rinunciare. A Flushing Meadows ha fatto il primo grande salto, cioè avanzando fino al terzo turno in un torneo dello slam.

E così facendo s’è garantito un best ranking alla numero 55, eventualmente da aggiornare qualora le soddisfazioni in terra americana dovessero continuare ad arrivare. Non male per uno che fino a inizio anno non bazzicava così frequentemente il circuito maggiore, specialista nei tornei ITF e Challenger (ne ha vinti tre da gennaio a giugno: curiosamente, tutti quelli nei quali aveva il preparatore atletico al seguito) ma tutto da scoprire nel mondo ATP, quello dei grandi.

E invece la crescita del tennista ligure è stata impetuosa: prima il blitz contro Ruud a Madrid, poi la semifinale sul rosso di Umago, quindi il secondo turno a Toronto, adesso il quarto agli US Open. È nata una stella? Piano con i giudizi. Ma di sicuro l’Italia del tennis ha tanti motivi per poter sorridere.

La prima volta di Matteo

Classe 2001, Matteo è ligure e pare destinato ricevere il testimone da Fabio Fognini come ambasciatore della regione di ponente nel mondo della racchetta. Fognini che l’ha voluto nella sua scuderia (Back to Next) e che per ovvie ragioni geografiche ha un debole per il sanremese, che ha subito elogiato via social dopo la maratona che l’ha visto prevalere su Fils.

Un’impresa mica da ridere: sotto di un set, Arnaldi ha spinto sull’acceleratore ribaltando il parziale e provando a spuntarla già nel quarto set, ma dopo aver attraversato un passaggio a vuoto s’è convinto che la storia voleva farla al quinto, per lui una novità assoluta, non avendo mai disputato in vita sua un match sulla distanza dei 5 set.

Volevo giocarmi tutto al quinto set

L’ha ammesso candidamente a fine partita:

Non ero dispiaciuto di aver perso il quarto, inconsciamente volevo giocarmi tutto al quinto.

Magari avrà parlato proprio la sua parte incosciente, quella che a 22 anni e mezzo bisogna pure mettere in conto. Invero Matteo non s’è affacciato così giovane in top 100: di solito alla sua età c’è già chi si è bruciato, o quantomeno ha vissuto il suo momento di massimo splendore. Ma questa è un’altra storia. È la storia di un ragazzo che ha fatto i passi lunghi quanto la gamba, mettendo fuori il naso solamente quando ha capito che là fuori c’era spazio per non restare schiacciato dai mostri sacri della racchetta.

Il ruolo di Alessandro Petrone

L’impresa di New York, peraltro ottenuta davanti a tanti amici e conoscenti accorsi nella Grande Mela per seguirlo da vicino, è il coronamento di un percorso che parte da lontano. Arnaldi ha saputo costruirsi una carriera importante nei circuiti minori, ma soprattutto ha saputo alzare l’asticella in fretta quando ha avuto l’opportunità di mettere piede stabilmente nel circuito.

Alessandro Petrone, il suo coach, sostiene che di margini per fare ancora meglio ce ne siano a sufficienza per poter sperare di avanzare. Collabora con lui da poco più di due anni: l’ha preso che era numero 900 al mondo, oggi si ritrovano in coppia a un tiro di schioppo dalla top 50.

Ne loda sempre il carattere da combattente e la predisposizione al sacrificio e l’ha aiutato (tanto) a migliorare soprattutto nel servizio, divenuto nel tempo più ficcante e potente (anche sopra i 200 km/h).

Il punto di svolta di Arnaldi

Difficile individuare un vero punto di svolta: probabilmente la partita che ha cambiato la vita di Arnaldi è stata quella del secondo turno del Challenger di Murcia, a inizio aprile, quando sotto 6-3 3-1 ha ripreso per i capelli una gara che sembrava andata, e che invece ha rappresentato il trampolino di lancio per vincere il torneo e cambiare completamente testa e dimensione.

Un mese dopo sarebbe arrivata anche l’opportunità di giocare a Roma, dove Matteo ha avuto l’opportunità di allenarsi un paio d’ore con Djokovic: se sei un ragazzo giovane che hai voglia di sfondare, quei 120 minuti rappresentano una fonte di vita, il grimaldello per imparare quello che nemmeno 100 partite nel circuito possono darti.

Norrie e poi Carlos

Fino a 12 anni nella quotidianità del ligure c’erano tennis e nuoto. Poi ha capito che doveva fare una scelta, e la racchetta ha preso il sopravvento. Oggi quella scelta ha avuto un suo perché: la vittoria su Fils ha acceso i riflettori su un ragazzo schivo e riservato, ma che quando scende in campo non lesina il minimo sforzo.

Merito anche dell’elasticità della gambe, eredità dei tanti esercizi di stretching che il suo primo preparatore gli metteva nel programma di giornata. Contro Cameron Norrie il pronostico pendeva tutto dalla parte del britannico, invece Matteo ha incantato e s’è sbarazzato dell’avversario in tre set. La certificazione di un dominio, peraltro palesato nel corso di tutto il match: il 2023 non è stato l’anno migliore di Cam, ma a Flushing Meadows sin qui ha marciato a pieno regime e c’è da credere che non vorrà sprecare l’opportunità di fare strada, seppur capitato anch’esso nella parte del tabellone che non somiglia al deserto dei Tartari (cioè quella dove c’è Djokovic, poi una selva di possibili outsider).

Tanto che, agli ottavi, il rivale è nientemeno che Carlitos Alcaraz. Giusto per togliersi lo sfizio di vedere l’effetto che fa. Che poi, dall’Ariston all’Arthur Ashe, ci sarà mica tutta questa differenza?

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