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Wimbledon Djokovic spegne i lampi di Sinner. Jannik perde male ma gioca bene: questione di dettagli

Il 3-0 rifilato al giovane Jannik (si, perché a 22 anni ancora da compiere si è giovani) è in realtà troppo pesante e offre un quadro della realtà un po’ distorto. Ecco cosa dicono i numeri del match

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Roberto Barbacci

Roberto Barbacci

Giornalista

Giornalista (pubblicista) sportivo a tutto campo, è il tuttologo di Virgilio Sport. Provate a chiedergli di boxe, di scherma, di volley o di curling: ve ne farà innamorare

Yannik Sinner si ferma alle semifinali di Wimbledon, Nole Djokovic è ancora troppo distante. Il serbo la chiude 3-0 ma dentro un risultato netto e rotondo ci sono parecchie cose da tirar fuori.

Certe volte ci si dimentica di quanti anni abbia realmente Sinner. Che ha mostrato lampi di classe assoluta, tali da far ritenere che quei 22 anni dichiarati sulla carta d’identità in realtà siano molti di più all’atto pratico, almeno se correlati alla sua capacità di incidere su un campo da gioco.

Djoko di candeline ne ha spente 36 lo scorso maggio, ma di smettere di vincere non ne vuol davvero sapere. Anche se il 3-0 rifilato al giovane Jannik (si, perché a 22 anni ancora da compiere si è giovani) è in realtà troppo pesante, perché offre un quadro della realtà un po’ distorto.

Cosa dicono i numeri

In fondo i numeri nudi e crudi del match raccontano di percentuali praticamente simili, addirittura migliori per quel che riguarda Sinner (59% contro 58% di prime servite, 75% di punti ciascuno conquistati con la prima, 62% contro 60% con la seconda), non suffragate però dal verdetto finale, che ha sorriso senza indugio al serbo.

Cosa ha fatto allora la differenza? Semplice, i dettagli. Che nel tennis, più in generale nello sport, sono una parte fondamentale del gioco. Anzi, a certi livelli rappresentano proprio tutto.

Pochi punti ma decisivi

Djokovic ha vinto perché ha saputo gestire meglio i momenti più delicati, gli scambi più importanti, le scelte più accurate. Questione di centimetri, a volte millimetri: Sinner ha commesso tre doppi falli in tutta la sua partita, ma sempre nei momenti peggiori.

E non ha saputo capitalizzare nessuna delle 6 palle break che si è creato, talvolta a fatica, spesso su errori dell’avversario (il maledetto decimo game del terzo set resterà a lungo impresso nella memoria dell’altoatesino).

Poche palle break convertite

A pensarci bene, sarebbe bastato poco per buttare giù Nole dalla torre, o quantomeno farlo sudare più di quanto la strana giornata di Wimbledon lo ha costretto a fare, con il tetto chiuso pochi minuti prima del match per non rischiare di doversi poi fermare a causa della pioggia.

Qualcuno ha interpretato tutto questo come un potenziale vantaggio per Sinner, ma poi contano i fatti. Anzi, contano i punti, specie quelli sul servizio altrui. E Jannik, che nel torneo è arrivato a collezionare 72 palle break (media 12 a partita), ne ha convertite troppo poche (26 in tutto) per non alimentare rimpianti.

Djoko da record

Dopodiché ci sono i numeri, che solitamente non mentono: Djokovic s’è preso la 35esima finale slam della carriera, sempre più leader solitario (Federer è a 31, Nadal è fermo a 30, Lendl è quarto ma 19…) e sempre più vicino a centrare il 24esimo titolo, avendo conquistato 23 delle precedenti 34 partite.

E conquistando quello che sarebbe l’ottavo titolo a Wimbledon terrebbe in piedi il proposito di centrare il Grande Slam, onore riservato a chi conquista tutti e 4 i titoli dello slam nel medesimo anno solare (ci andò vicinissimo nel 2021, battuto all’ultima partita agli US Open da Medvedev).

Djokovic che a Wimbledon è imbattuto da 34 partite, cioè tutte quelle disputate dal 2018 in poi, di cui appena tre (le finali contro Nadal nel 2018 e Federer 2019 e il quarto contro Sinner lo scorso anno) vinte al quinto set. Per il resto è un dominio assoluto, che non pare conoscere fine. A meno che Alcaraz o Medvedev non decidano di buttarlo giù dal trono. Ma se queste son le premesse, difficile che possa accadere nell’arco di sole 48

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