Il mondo del calcio è in lutto per la scomparsa di Carlo Mazzone. Un personaggio genuino, che ha lasciato un ricordo indelebile figlio di uno sport che non esiste più. Saranno tanti i calciatori, tra i quali diversi scoperti e lanciati proprio dal tecnico romano, a dargli l’ultimo saluto.
Il funerale è previsto per domani, lunedì, alle 16:30 nella chiesa di San Francesco ad Ascoli, città che lo ha amorevolmente accolto e sua seconda casa dopo la capitale. Non ci sarà camera ardente. All’appello dovrebbe mancare Francesco Totti, in questo momento lontano dall’Italia ma che ha comunque trovato il modo di mandare un abbraccio al suo padre putativo.
- Il racconto di Antognoni e l'aneddoto sulla fascia di capitano
- Il falso mito del difensivista e l'amore per i campioni
Il racconto di Antognoni e l’aneddoto sulla fascia di capitano
A raccontare la sua esperienza condivisa con Carlo Mazzone in un’intervista al Corriere della Sera è stato Giancarlo Antognoni, vecchia bandiera della Fiorentina che proprio in viola ebbe modo di conoscere l’allenatore romano: “Ho un ricordo bellissimo, fu lui a farmi capitano. Ero poco più che ventenne, era una grande responsabilità, mi diede fiducia. Fu importante per la mia carriera”.
Simpatico l’aneddoto sulla fascia di capitano che finì proprio sul suo braccio: “Il capitano era Ennio Pellegrini – racconta Antognoni -, Mazzone lo chiamò e gli chiese: “Ennio, quanta gente porti allo stadio la domenica a Firenze?”. “Non so — rispose Ennio — forse mio zio e pochi altri tifosi”. Mazzone lo guardò e gli disse: “Antognoni porta 30mila persone, da oggi il capitano lo fa lui”. Me lo raccontò Pellegrini stesso, ci ridiamo su ancora oggi“.
Il falso mito del difensivista e l’amore per i campioni
Carlo Mazzone è stato considerato dalla critica come un tecnico italianista. Un concetto che si sposa con le idee di fase difensiva come priorità assoluta e ripartenza. Ma non c’è nulla di più sbagliato secondo Giancarlo Antognoni: “Falso, negli anni Settanta era all’avanguardia, molti allenatori l’hanno copiato“.
Ma più di tutto sapeva gestire i campioni: “Totti, Pirlo, Baggio, Guardiola e tanti altri. Era severo, ma per quelli con i piedi buoni aveva un occhio di riguardo, diciamo che lasciava correre qualcosa. Gli piaceva chi sapeva toccare il pallone: aveva un concetto moderno del gioco“. Anche se caratterialmente, e abbiamo avuto modo di constatarlo, non era proprio un tipo docile: “Era uno che si faceva rispettare, ma un romano simpatico, con la battuta sempre pronta“.