Se davvero i 40 sono i nuovi 20, LeBron Raymone James è certamente il più illustre rappresentante di chi questa tesi ha deciso di portarla avanti con convinzione. Nel vedere lui, difficile farsi idee differenti: oggi che spegne 40 candeline, LeBron è davvero un atleta che potrebbe essere scambiato tranquillamente per uno di 20 anni. Perché per lui il tempo è come se si fosse fermato, tanto che si fatica a credere che da quelle partite trasmesse in diretta tv nazionale direttamente dalla piccola palestra della scuola superiore di St. Vincent-St. Mary (con l’organizzazione scolastica “costretta” a cercare ospitalità in strutture più capienti per rispondere all’incredibile richiesta di biglietti) siano trascorsi più di 20 anni. Ma la vita corre veloce, mentre James non sembra voler farlo con altrettanta rapidità, a meno che non ci sia un canestro nel raggio di una decina di metri.
- Le origini, la scelta dello sport, l'incredibile hype
- Cleveland, andata e ritorno. E l'impresa più bella
- Un'ondata di record e la gioia di giocare con Bronny
Le origini, la scelta dello sport, l’incredibile hype
Tutto il mondo dello sport (non solo del basket) s’è fermato oggi per celebrare uno dei più grandi atleti di sempre dello sport americano. Un’icona divenuta globale anche per il suo impegni verso i più deboli, con centri scolastici e programmi aperti per quei bambini che in qualche modo hanno avuto o stanno avendo un’infanzia molto simile alla sua, sballottato in 19 appartamenti nell’arco di 8 anni, fino a quando la madre Gloria (che lo ha partorito quando aveva appena 17 anni) non s’è convinta ad affidarlo alle cure del coach Frank Walker, un insegnante della cittadina di Akron. Che di professione sarebbe allenatore di football, sport nella quale LeBron se la cava discretamente, anche se dimostra di cavarsela bene anche nel basket, che poco dopo diventerà il suo chiodo fisso.
Anzi, il suo strumento di rivalsa nei confronti di quella vita che non gli ha offerto un padre (ancora oggi vige il massimo riserbo su chi sia veramente: forse LeBron lo sa, ma non ha mai voluto condividere particolari col resto del mondo), ma lo ha fatto crescere talmente veloce da renderlo unico agli occhi di milioni di appassionati. Gli stessi milioni di tifosi che preferivano vedere una partita di high school piuttosto che una di play-off NBA, creando un’attesa come mai s’era avuta prima per un giocatore di basket.
Cleveland, andata e ritorno. E l’impresa più bella
Aveva appena 18 anni, LeBron, quando il mondo cominciava a preparare il suo atterraggio nel mondo dorato della pallacanestro. Rimasta orfana da poco tempo di Michael Jordan, in piena era Kobe-Shaq e nel bel mezzo della dinastia Spurs. James avrebbe riscritto completamente il copione della storia, e a contribuire a quel momento magico pensò bene la pallina pescata al draft dai Cleveland Cavaliers, la squadra della sua città, quella che non vinceva un titolo in nessuna disciplina dal 1965. Sarebbe toccato proprio a LeBron, 51 anni dopo, interrompere quel maledetto digiuno.
Anche se la strada per arrivare a quel meraviglioso 19 giugno 2016, giorno in cui in America si festeggiava la festa del papà, non sarebbe stata così lineare e senza intoppi: 7 stagioni ai Cavs con una finale (persa nettamente con gli Spurs) e tante corse play-off interrotte sul più bello, poi il “tradimento”, ovvero la celeberrima “The Decision”, il punto “più alto e al tempo stesso più basso” di popolarità toccato da James. Che da idolo delle folle divenne il bersaglio preferito di chi vedeva in lui solo un uomo assetato di vittorie e di riconoscimenti personali, trasferitosi a Miami proprio alla scopo di colmare lo zero alla voce “anelli conquistati in carriera”.
Quattro anni dopo, quando deciderà di tornare a Cleveland dopo due titoli vinti e due finali perse, lo farà per chiudere un cerchio, dando vita alla rimonta più incredibile della storia del basket americano (unica squadra da 1-3 a 4-3 nelle Finals, contro i Golden State Warriors).
Un’ondata di record e la gioia di giocare con Bronny
L’ultima parte di carriera è servita in qualche modo per elevarlo al rango dei più grandi. Intanto perché gioca ininterrottamente da 22 stagioni, come solo Vince Carter ha fatto in passato. Lui però gioca per davvero: titolare nei Lakers che inseguono un ultimo ballo, dopo il titolo “nella bolla” del 2020 e qualche sconfitta di troppo nei play-off.
LeBron ha il record di punti segnati e di minuti giocati in NBA, da 1.200 partite va sistematicamente in doppia cifra in ogni partita, ed è soprattutto il primo ad aver giocato con il proprio figlio in una gara di regular season, nonostante Bronny non fosse neppure nato quando il papà esordì nell’ottobre del 2003 nella lega.
Come è possibile che a 40 anni sia ancora così competitivo e dannatamente forte? Cura maniacale del corpo e una vita da professionista h24 sono alla base di una costruzione umana perfetta, sorretta anche da un talento sconfinato. Il più delle volte ci si dimentica che quella macchina tanto impeccabile abbia davvero 40 anni. E chissà per quanto tempo ancora LeBron ce lo continuerà a ricordare.