Date alla Vuelta ciò che è della Vuelta. O meglio, ciò che la Vuelta s’è presa: il ruolo di seconda grande corsa a tappe della stagione, seconda cioè solo al Tour de France, che è inarrivabile per una serie di motivi ma che ormai strizza sempre più l’occhio verso la corsa spagnola, piuttosto che nei riguardi di un Giro che paradossalmente si ritrova incatenato a certi schemi che sembrano far convogliare tutti i big verso l’ultima grande corsa a tappe dell’annata. Che da quando s’è spostata da aprile a fine agosto ha guadagnato credibilità, visibilità e fascino. Tanto che il parterre di coloro che si daranno battaglia per la maglia rossa (una volta era oro: anche qui, come cambiano le cose) è certamente il più nutrito dell’intera stagione del ciclismo che conta, per certi versi anche superiore a quello ammirato a luglio sulle strade di Francia.
Perché raccogliere i big già presenti al Giro (Roglic e Thomas) e pure il due volte vincitore del Tour, Jonas Vingegaard, che con Roglic formerà una coppia potenzialmente esplosiva in casa Jumbo Visma. Soprattutto ci sarà il vincitore dell’edizione 2022, cioè Remco Evenepoel, che al Giro si ritirò quando era in maglia rosa per Covid, ma che in Spagna punta deliberatamente a mantenersi saldo sul trono.
E poi ancora Carapaz e Mas, usciti con le ossa rotte dal Tour (in tutti i sensi: sono caduti a Bilbao, nella prima tappa, e si sono subito ritirati), e ancora il baby rampante Juan Ayuso, nuova promessa di Spagna, e con lui Joao Almeida, Aleksandr Vlasov e Mikel Landa. Insomma, manca solo Pogacar tra i vincitori seriali dei grandi giri per poter pensare che il quadro sia davvero completo. Ma è un’assenza che, viste le premesse, non dovrebbe poi sentirsi più di tanto.
Almeno c’è il Torumalet…
La Vuelta è storicamente una corsa a tappe che strizza l’occhio ai finisseur, perché il percorso è spesso più simile a tante piccole classiche giornaliere che non a vere frazioni per passisti scalatori. La critica più diffusa è quella che vuole gli organizzatori incaponirsi nel voler per forza di cose porre una “rampa da garage” al termine di ogni tappa: più che vere salite, strappi con pendenze spesso disumane (anche oltre il 20%) che garantiscono spettacolo sul momento, ma pochi distacchi reali in classifica.
Eppure di montagne da urlo qualcuna ce n’è: l’Angliru ad esempio, considerata la salita più dura d’Europa dopo il Mortirolo, o come in questo caso il Tourmalet, dal momento che la corsa sconfinerà per qualche chilometro in Francia, andando a omaggiare una delle salite mitiche del Tour de France.
L’altra caratteristica che nel corso degli anni è andata progressivamente aumentando è quella relativa all’accorciamento sempre più evidente delle tappe a cronometro: quest’anno saranno appena 25 i chilometri contro il tempo, cui andranno aggiunti i 15 della cronosquadre inaugurale.
In generale, in Spagna le frazioni sono sempre piuttosto brevi: solo una supera i 200 chilometri giornalieri (in media misurano poco più di 163 km), e questo offre sempre frazioni mosse e nervose, con velocità medie sostenute e un controllo continuo di ciò che fanno i big (e le relative squadre). Ma paradossalmente finisce anche per togliere spettacolo, perché in pochi accettano il rischio di partire da lontano se la vera difficoltà è posta solo all’arrivo.
Strano, ma funziona
Due tappe pirenaiche sono il cadeau che ASO ha voluto offrire agli scalatori vecchia maniera, quelli che amano quando la strada si fa più impervia e prediligono la fatica delle tappe dopo le montagne si susseguono una dietro l’altra. Ci si arriverà dopo due settimane di corsa, e magari i distacchi a quel punto non saranno nemmeno tanto evidenti, seppur già alla terza tappa ad Andorra qualche big potrebbe pagare a caro prezzo eventuali ritmi piuttosto elevati.
Di certo la cronometro di Valladolid che aprirà il programma della seconda settimana sarà un altro snodo cruciale per provare a capire i valori di forza: Evenepoel punterà tutto su quei 25 chilometri per provare a mettere quanta più distanza tra sé e i rivali, sebbene poi di tapponi dove potrebbe andare realmente in difficoltà (come sarebbe potuto succedere al Giro, se fosse rimasto in gara) non se ne vedono all’orizzonte.
Perché la Vuelta da sempre predilige un percorso più lineare che esigente, dove più che le gambe è la testa ad essere messa davvero sotto pressione. E dove l’ultima settimana non sarà la più difficile dal punto di vista altimetrico, seppur c’è l’Angliru alla 17esima tappa: anche qui è un po’ un controsenso, specie quest’anno che il mondiale è stato già disputato (solitamente la Vuelta è la corsa che più di tutte aiuta coloro che puntano alla maglia iridata ad affinare la condizione) e che dunque ci sarebbe stato tempo e spazio per chiedere qualche sforzo in più alla carovana.
Da Barcellona a Madrid sarà comunque un lungo cammino fatto di sorprese, scatti e contro scatti, tatticismi esasperati e ordini di squadra. Perché con tanti galli nello stesso pollaio qualcosa di esplosivo potrà sempre scapparci fuori. Anche se il percorso non ha nulla a che vedere con quello del Giro, che pure al momento può solo guardare con un po’ di sana invidia a quel che accadrà sulle strade di Spagna. Paradosso del ciclismo del XXI secolo.