Mentre tutta la stampa e le community di calcio italiane si preoccupavano di intasare i feed con foto e discussioni riguardanti l’assenza di pubblico nella prima semifinale di Supercoppa tra Napoli e Fiorentina, un gruppo di 3 tifosi dell’Inter Club umbro Gualdo Tadino iniziava il suo viaggio dall’aeroporto di Roma-Fiumicino fino a Dammam, nel pieno deserto, per raggiungere successivamente Riyadh (4 ore e mezza di macchina), e arrivare quasi in tempo per il fischio di inizio di Inter-Lazio.
Si può riassumere così parte della dicotomia creata dalla seconda edizione consecutiva della Supercoppa italiana giocata a Riyadh, la capitale dell’Arabia Saudita.
Da una parte le critiche e le impressioni generate a distanza di chilometri, e dall’altra quei tifosi che i chilometri invece li hanno fatti, per vivere un’esperienza di tifo certamente originale, resa possibile da un accordo di 23 milioni di euro tra Lega Serie A e Sela Sport, l’azienda di marketing proprietà del fondo PIF che ha organizzato la Supercoppa italiana e spagnola con la collaborazione delle rispettive leghe di calcio.
“L’anno scorso c’era la curiosità di scoprire come era vedere la propria squadra giocare qui.
Ci siamo trovati bene e abbiamo apprezzato i loro modi tanto da ritornare. Qui c’è gente che ti ringrazia per essere venuto qui. Su alcuni dettagli però, abbiamo trovato un peggioramento, come nella concessione dei visti. Una pratica che ci ha impegnato non poco tempo anche per via della lentezza degli impiegati arabi.
La prima partita poi, siamo entrati solo al 30’ per colpa del traffico e la difficoltà a trovare parcheggio”.
Davanti Al Masmak, la fortezza che si trova in una parte antica della città dove è facile incontrare turisti da tutto il mondo, un gruppo di 3 tifosi dell’Inter Club di Gualdo Tadino e Spello, si racconta dopo la semifinale, dove è stato un piacere vedere la propria squadra in Arabia in uno stadio che ricorda l’architettura degli impianti inglesi, situazione molto differente dall’anno scorso, quando il derby si giocò al King Fahd, uno stadio che tra campo e tribune antepone una pista di atletica come il più classico degli stadi olimpici.
Dopo la prima partita della EA SPORTS FC Supercup, in Italia ci si è concentrati sullo stadio vuoto nel primo match.
Effettivamente era proprio così, e non è bastato il tentativo in favore di videocamera, di far spostare quasi tutte le persone presenti dalla curva verso la tribuna predisposta per apparire in gran parte delle inquadrature televisive durante il match.
Non hanno aiutato nemmeno le bandiere e le sciarpe delle due squadre distribuite gratuitamente nei pressi dello stadio, per provare a creare un’atmosfera quanto meno simile agli scenari europei.
Da casa, si è potuto leggere nelle ore successive al fischio di inizio di cori finti, di errori di valutazione nella scelta di giocare all’estero (quasi la metà delle edizioni di questa competizione dal 1993 si giocano fuori nazione). Si è deciso quindi, di cadere nella trappola del framing della notizia dello stadio vuoto, senza interrogarsi realmente sui perché e su cosa fosse oggettivamente reale.
I cori della prima semifinale non erano finti, ma di una semplicità talmente elementare, visto che la parola “alè alè” veniva ripetuta un dozzina di volte a ritmi diversi, che in effetti ricordavano i cori finti, appunto, di un famoso videogame di calcio.
I motivi, invece, della quasi assenza di pubblico, vanno ricercati in un ventaglio di fattori molto più ampio rispetto alle semplificazioni mosse da molti media, influencer e community social.
Nel reportage realizzato l’anno scorso, sempre in occasione della Supercoppa, si parlava sempre della volontà dell’Arabia Saudita di aprirsi all’Occidente anche attraverso il mondo del calcio.
Il progetto continua, e proprio come la città che nel giro di un anno è già in parte cambiata, così anche la vision che vuole questo Paese al centro dello sport globale ha fatto ulteriori passi in avanti.
Lega Serie A, così come la Federcalcio spagnola, arrivano qui per massimizzare i profitti dei bilanci annuali. Qualcuno però ha già compreso che una strategia mordi e fuggi non è destinata a funzionare, e può esporre a degli inciampi di immagine e brand, proprio come successo nella semifinale tra Napoli e Fiorentina.
La mattina della partita, allo stadio Al-Awwal, un centinao di operai si adoperavano a smontare tutta la cartellonistica dedicata alla Supercoppa Spagnola, quasi 4 giorni dopo la finale. Un’immagine che fa comprendere quanto il lavoro di una lega come la Serie A debba partire settimane e mesi prima direttamente sul territorio, per far sì che gli appassionati locali comprendano meglio il valore di club italiani meno blasonati rispetto a quelli più inflazionati.
Proprio come ha fatto in questi anni la Spagna, che grazie al blasone di Real e Barcellona, ha spinto l’intero movimento calcistico, oltre a lavorare in maniera diversa nell’esperienza del matchday allo stadio, con delle fan area organizzate per le 4 tifoserie spagnole.
La bilancia che misura questa differenza tra i due movimenti si può leggere anche nel peso differente per i diritti tv internazionali del campionato spagnolo che valgono 835 milioni di euro, mentre quelli della Serie A “solo” 205 milioni. La differenza la fanno le stelle in campo, e quindi il bacino di utenza locale e globale.
Tra quel ventaglio di fattori che non permettono di riempire lo stadio nella partita inaugurale, sicuramente c’è questo, ma c’è anche la difficoltà che un tifoso che vive in Italia prova ad organizzare una trasferta come questa.
Assenza di voli diretti in buona parte degli aeroporti italiani, costi eccessivi, oltre alle montagne russe da percorrere per il visto, mettono in secondo piano l’accessibilità del pricing di una competizione come la Supercoppa in Arabia Saudita, dove per accaparrarsi un biglietto per la semifinale bastavano poco meno di 40 SAR locali, il corrispettivo di quasi 10 euro (si partiva da 13 euro per la finale, fino a salire a 200-250€ in tribuna vip).
Quello del turismo sportivo è un buon argomento di partenza da affrontare, dato che l’Arabia punta allo sport anche per questo motivo. Mentre per club italiani e Serie A potrebbe essere la prima volta in cui affrontare in maniera molto verticale il tema, e trovare soluzioni che incentivino il tifoso a viaggiare per seguire la propria squadra del cuore.
L’accordo per la Supercoppa Spagnola, ad esempio, prevede 300 mila euro ai club per le spese di viaggio. Non è impensabile immaginare che in futuro, parte del ricavato dalla competizione, potrebbe essere investito per facilitare il viaggio di gruppi di tifosi.
Non sarà passato inosservato ai vertici de LaLiga e dei club, la notizia dei 600 tifosi dell’Osasuna partiti direttamente da Pamplona per la prima semifinale.
Ma tutto ciò è in costante evoluzione. Per Lega Serie A l’impatto col nuovo format della Supercoppa in Arabia Saudita sarà una lezione importante per le prossime edizioni. Così come in costante evoluzione è il movimento calcistico saudita.
“Con l’arrivo di Cristiano Ronaldo e di altri campioni, i vertici sauditi hanno avuto un effetto di visibilità che in realtà è andato oltre le loro aspettative.
L’entusiasmo è stato talmente forte che qui hanno deciso di riscrivere alcune regole del campionato, per creare un cambio generazionale ai vertici dei club e nell’organigramma. Chi era in un determinato club da troppi anni o non aveva alcuni requisiti come ad esempio la laurea, non poteva fare essere nel board di comando, così da lasciar spazio a nuove generazioni di dirigenti”.
È un frame di come le cose stanno cambiando offerto dal punto di vista di Nicola Innocentin, direttore sportivo che qui in Arabia Saudita ha lavorato con l’Al-Fateh, squadra che attualmente occupa il sesto posto in Saudi Pro League.
Come è andata la finale di Supercoppa Inter – Napoli
Sulla strada verso lo stadio Al-Awwal fa sorridere incrociare ragazzini intenti a vendere gadget e merchandise delle due squadre ai semafori, con tanto di possibilità di pagare con carta di credito grazie al POS.
È un’altra immagine offerta da questa Supercoppa italiana giocata a Riyadh, un Paese distante dal nostro immaginario quotidiano, ma sempre più incline a voler integrare abitudini e costumi più europei.
Il primo impatto dentro lo stadio chiarisce subito il dubbio che molti addetti ai lavori ed appassionati avevano sollevato dalla partita inaugurale: lo stadio è praticamente sold out e fa il pari con la cornice di pubblico presente a Inter – Lazio.
Si chiude 2 a 1 la partita degli spettatori. Nel computo della competizione ci sono state 2 partite con le tribune piene, a differenza di una con lo stadio pressoché vuoto. Un risultato su cui fondare le basi del futuro, per raggiungere i risultati dei competitor (LaLiga ha chiuso con 23.932 spettatori in Barcellona – Osasuna, più 2 sold out nelle altre due sfide).
Il presidente di Lega Lorenzo Casini ha fatto più che intuire che la sinergia con Paesi come l’Arabia Saudita sarà curata sempre di più. Mentre l’amministratore delegato Luigi De Siervo ha chiarito un aspetto dell’accordo tra la Serie A e Sela Sport: 4 delle prossime 6 edizioni della Supercoppa saranno giocare qui, mentre per le altre due si farà una valutazione, strizzando l’occhio agli Stati Uniti.
Ma soprattutto, la lega che organizza il massimo campionato di calcio in Italia, aprirà una sede proprio a Riyadh entro maggio. Poi una a Singapore, in Africa e in Sud America, ma queste ultime nel 2025.
Sempre lo stesso De Siervo ad un forum organizzato dal Social Football Summit, evento di cui Virgilio Sport è partner, ha definito la Supercoppa del 2024 come la migliore edizione di sempre, oltre a essere quella più seguita nella storia con 180 paesi collegati. Senza però omettere i passi da compiere e gli evidenti margini di miglioramento, specialmente per quel che riguarda la presenza e la promozione dell’evento sul territorio mesi prima della data di kick-off.
Sul campo invece, il verdetto è stato chiaro. L’Inter è attualmente la miglior squadra del campionato italiano, e con la notte di Riyadh, l’ennesima, si è regalata la terza Supercoppa italiana di fila. Non lo ha dimostrato solo il risultato finale, ma il modo con cui è arrivato, con un ritmo decisamente diverso alle rivali. Un ritmo in generale basso se messo a confronto con i campionati top, come mi ricorda il segretario generale dell’Al-Nassr Abdulrahman Al Hogail, il club di Cristiano, che casualmente è seduto al seggiolino di fianco al mio per la finale. I modelli di riferimento sono altri: “Esiste più di un modello di business che può funzionare, ma per ora i nostri riferimenti sono club come il Real Madrid e l’Atletico, o il Bayern Monaco”.
Ma tornando alla partita. Al dominio in campo ha fatto seguito quello sugli spalti e sui social, come mi ha confidato un membro del team del club.
Le interazioni del pubblico arabo hanno innalzato il tasso di engagement dei social dell’Inter in questa settimana. Un risultato specchio del calore visibile sugli spalti e quasi totalmente in favore dei neroazzurri durante tutta la competizione, tant’è che ogni azione pericolosa del Napoli veniva sommersa dai fischi dell’Al-Awwal.
Gli stessi fischi che si sono potuti udire durante il minuto di raccoglimento per la scomparsa di Gigi Riva. Perché come ha dimostrato questo esperimento di intrattenimento, tra l’Italia e l’Arabia Saudita, ci sono ancora alcune barriere culturali e di contesto.
Starà a tutti gli attori in gioco, e non ne sono pochi, abbatterle per costruirci un ponte.