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Djokovic l'eterno immortale: il tennis gli deve dire grazie

Novak Djokovic ha ancora spazio nella vetrina dei trofei. Cincinnati ha dimostrato una volta di più la classe e la voglia di vincere di Nole, che punta ora gli Us Open e a infrangere nuovi record. Alcaraz permettendo

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Roberto Barbacci

Roberto Barbacci

Giornalista

Giornalista (pubblicista) sportivo a tutto campo, è il tuttologo di Virgilio Sport. Provate a chiedergli di boxe, di scherma, di volley o di curling: ve ne farà innamorare

Date a Djokovic quello che è di Djokovic. Ovvero tutta l’adulazione di questo mondo: di un fuoriclasse così, quando appenderà la racchetta al chiodo, se ne sentirà la mancanza per anni. Talmente bravo, forte e resiliente da aver annacquato il “dolore” per la fine della carriera di Roger Federer (e anche lì pensavamo che il mondo non sarebbe stato più lo stesso) e per la sospensione, chissà se definitiva, di quella di Rafael Nadal, gli altri due tenori con i quali ha portato il tennis in un’altra dimensione nel corso degli ultimi due decenni.

Djokovic era e resta un fuoriclasse

Ma adesso che c’è Carlos Alcaraz a rendere un po’ più incerta (per fortuna) la contesa, il prodotto finale rimane sempre attinente a quello di partenza: Djokovic era e resta un fuoriclasse, e la vittoria nella pazza finale di Cincinnati sta a lì a dimostrarlo. Una finale dove è venuta fuori tutta la voglia di dimostrare al mondo nordamericano, che l’aveva tenuto a debita distanza negli ultimi due anni per via della sua renitenza a vaccinarsi al Covid, che il migliore era e rimane lui.

Una finale senza senso, o meglio, di senso compiuto: due campioni della racchetta decisi a darsele di santa ragione per quasi quattro ore, come se tutto fosse banale e scontato. Forse per loro, non per i comuni mortali. Che hanno assistito al più bel match del 2023, e che adesso bramano all’idea di vedere il terzo atto della saga a Flushing Meadows, in quella New York che Nole ha già messo nel mirino per fare definitivamente i conti col passato recente.

Il cuore di un campione

Le lacrime di Alcaraz a fine gara sono proprie di un ragazzo (perché tale rimane: 20 anni e spiccioli) che sa di aver perso un’occasione enorme per regalarsi uno scalpo eccellentissimo. Wimbledon, distante un mese abbondante, è infatti già alle spalle: ogni giorno è un nuovo giorno, ogni sfida è una nuova sfida.

Alcaraz voleva vincere, ne ha avuto la possibilità soprattutto nel secondo set, quando Nole gli ha annullato un match point (giocato sul servizio del serbo) dopo che lo spagnolo a inizio parziale era pure scappato sul 3-1, approfittando forse del contraccolpo psicologico subito da Djokovic dopo aver dilapidato un break nel primo set.

Dal tiebreak del secondo, però, è stata pura poesia applicata al tennis, con scambi di livello elevatissimo e una chiara tendenza mostrata da entrambi a non mollare nemmeno un centimetro. Che poi alla fine l’abbia spuntata Nole, questa è un’altra storia: il cuore di un campione sa essere infinito, e il serbo ha dimostrato di averne uno grande come tutti i Balcani.

Record aggiornati

Quel cuore che gli serve per rimpolpare settimanalmente il libro dei record: la vittoria numero 1.069 in carriera lo ha fatto balzare al terzo posto all time, davanti a Lendl e Nadal e dietro ai soli Connors (1.274) e Federer (1.251). E col 95esimo titolo ATP conquistato a sua volta s’è preso il podio anche nel computo dei tornei vinti in carriera, dietro sempre ai soliti Connors (109) e Federer (103). Il 39esimo Masters 1000 (nessuno come lui), arrivato alla 57esima finale, è anche il degno modo di festeggiare le 100 big finals in carriera, cioè raggiunte nei tornei più importanti (35 negli Slam, 8 nelle ATP Finals e 57 nei 1000).

Numeri irripetibili che a 36 anni lo rendono ancora una volta il volto più iconico della racchetta, al netto di una giovane generazione di talenti assoluti di cui Alcaraz è il maggior esponente che pure non attende altro che scalzarlo dal trono. Dovesse però avanzare almeno al terzo turno agli US Open, compito sulla carta abbastanza abbordabile, Nole tornerebbe anche a stazionare alla numero uno del mondo, anche perché di punti da difendere nella campagna di fine estate sul cemento nordamericano non ne ha alcuno.

Insomma, avrà tutto da guadagnare il buon Djoko, che come Benjamin Button sembra ringiovanire anziché invecchiare, e che come il buon vino dimostra che è col tempo che può assumere aromi e sapori che lo rendono speciale. Aver fatto piangere Carlos, se possibile, rende ancor più l’idea dell’impresa consegnata agli annali: state pure comodi, perché Novak ha ancora spazio nella vetrina di casa per far posto a tanti altri trofei. E se lo spettacolo è quello ammirato a Cincinnati, allora lunga vita al (nuovo) re.

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