S’è accorta anche la WADA che c’è qualcosa che non funziona: “Forse è venuto il momento di fissare dei paletti e stabilire delle soglie al di sotto delle quali non c’è bisogno neppure di indagare”. A parlare è Olivier Niggli, direttore generale dell’agenzia internazionale antidoping, una delle organizzazioni più “discusse” degli ultimi tempi. I casi Sinner e Swiatek hanno aperto il vaso di Pandora: entro certi limiti, parlare di doping non ha senso, così come di sospensioni o quant’altro. E così facendo, si eviterebbero anche discussioni che lasciano il tempo che trovano, ma che finiscono per confondere tifosi e appassionati.
- Quando la tecnologia diventa "nemica"
- Soglie di tolleranza, ma con un approccio differente
- Nado Italia chiede "uniformità" nei giudizi
Quando la tecnologia diventa “nemica”
Niggli ha parlato a L’Equipe e ha fatto capire che qualcosa a breve potrebbe muoversi. “Ormai è evidente che oggi esistano tanti, anzi troppi casi di contaminazione. Questo in realtà non significa che ci sono più casi rispetto al passato, ma che i laboratori hanno aumentato considerevolmente la loro efficacia grazie a nuovi strumenti tecnologici, e questo permette di riscontrare anche quantità infinitesimali di sostanze che una volta non venivano rilevate”.
Il paradosso sta tutto qui: macchinari più efficienti, ma regole (ancora) obsolete. Che come tali rischiano di non essere sufficienti a raccogliere tutta la mole di informazioni che deriva dai controlli attuali. “Ci si può contaminare facendo cose innocue, e questo sta diventando un fattore a più livelli. Sentiamo tante storie e l’opinione pubblica può arrivare giustamente a pensare che gli atleti assumano di tutto, ma non è così”.
Soglie di tolleranza, ma con un approccio differente
La vicenda Sinner è stata una delle più dibattute e discusse, e continuerà ad esserlo almeno fino a quando il TAS di Losanna a febbraio (probabilmente l’11) non ascolterà il giocatore nel processo di appello presentato proprio dalla WADA. Niggli fa capire che in futuro casi come questo potrebbero non ripetersi: “Se fissassimo delle soglie sotto le quali non vengono riconosciute colpe, allora chiaramente avremmo molte meno situazioni da dirimere. La domanda però è un’altra: siamo pronti ad accettare l’idea di istituire delle regole sul “micro dosaggio” degli atleti? Perché è di questo che parliamo. E per questo stiamo aprendo un tavolo di lavoro per capire entro quali limiti si possa operare”.
Probabile che la WADA possa stilare una lista di sostanze ritenute irrilevanti ai fini dei test, mentre altre potrebbero essere contenute entro nuove quantità limite. Una sorta di “soglia di tolleranza” che in qualche modo dovrebbe aiutare anche a uniformare pene e condizioni, perché nel caso del Clostebol sono stati fermati atleti con quantità molto più rilevanti rispetto a quelle infinitesimali riscontrate nei campioni di Sinner a Indian Wells, ma altri sono stati completamente assolti (vedi il caso del giocatore dell’Atalanta Palomino: 800 pg/ml contro 76 pg/ml).
Nado Italia chiede “uniformità” nei giudizi
Alla Gazzetta dello Sport ha parlato Alessia Di Gianfrancesco, direttore generale di Nado Italia, il laboratorio analogo a WADA nel nostro paese. E s’è detta sostanzialmente d’accordo con quanto espresso da Niggli. “Giusto aprire un tavolo, giusto anche stabilire delle soglie, che poi per qualche sostanza già sono previste. Detto ciò, solo WADA può realmente arrivare a una sintesi, perché la situazione è differente da paese a paese.
Una cosa però è certa: va armonizzato il “giudizio” col quale vengono gestiti i singoli casi, perché è questo che lo sport chiede a un organismo internazionale e indipendente. Non si può decidere in un modo in Italia e in un altro all’estero: è questo che gli appassionati ci chiedono, ed è questo a cui bisogna arrivare nel minor tempo possibile”.