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Il tennista Francesco Maestrelli denuncia i terribili insulti social: "Io perdo e non vincono la scommessa"

Offese, minacce e i peggiori “auguri”: il ventenne toscano, numero 209 del ranking Atp, ha deciso di denunciare. Lo ha fatto con un reel su Istagram: sono scommettitori che nemmeno mi conoscono

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Auden Bavaro

Auden Bavaro

Giornalista

Lo sporco lavoro del coordinamento: qualcuno lo deve pur fare. Eppure, quando ha modo di pigiare le dita sulla tastiera, restituisce storie e racconti di sport che valgono il biglietto

Insulti, offese, minacce e i peggiori “auguri”, quelli che per limiti alla decenza parecchi altri farebbero fatica a rivolgere perfino a chi odiano. Francesco Maestrelli, 20 anni, pisano, tennista per vocazione e professione ha deciso di denunciare.

Ogni volta che perde, il copione si ripete. Anche stavolta, per dire: è bastata una sconfitta nel main draw del torneo ATP Bastad, in Svezia. Francesco ha giocato domenica 16 luglio: lui, numero 209 del ranking, opposto al bosniaco Damir Dzumhur, 11 anni di più e diverse posizioni in meno nella classifica ATP (169). Sconfitta sul filo, per Francesco: ha perso 2-1. Cade nel primo set, tre servizi persi, finisce 6-4 per Dzumhur. Il secondo è il set della ricostruzione: Francesco impatta, gioca divinamente, chiude 6-2 e si conquista il diritto del terzo. Set giocato sul filo: bene entrambi, arrivano al tie break, 7-5 per il bosniaco. Maestrelli torna a casa. E inizia l’inferno social.

I messaggi inqualificabili letti dallo smartphone

Li chiamano leoni da tastiera, ma stavolta no. Non basta. Sono persecutori che imperversano tra web e metaverso. Spesso anonimi, parecchie volte impuniti, anche perché l’abitudine a conclamare determinati e altrui comportamenti delittuosi non è ancora radicata. Francesco no: quell’approccio ha deciso che fosse il più corretto.

Denunciarli pubblicamente. Per sé e per gli altri: capita a tantissimi – per motivi diversi ma in forme assai simili – quel che è accaduto al giovane toscano. A che livello si può spingere l’indecenza? Lo sintetizza Francesco, mentre legge dallo smartphone, a voce alta, i messaggi ricevuti. Molti in inglese

Spero tua madre muoia di cancro

Che fa il paio con

Stupido bastardo

E se la gioca con quest’altro:

Fanc*** a tutta la tua famiglia

Un reel su Instagram: “Ciao ragazzi…”

Ciò che omettiamo sta sulla falsariga. Si tratta di messaggi inqualificabili che qualcuno si sente in diritto di rivolgere al diretto interessato con la facilità di un movimento di dita che, probabile, arriva prima di quanto faccia il flusso dei pensieri. Francesco li ha letti in un video che ha postato su Instagram. Un reel:

Ciao ragazzi, sono Francesco Maestrelli. Questo è tutto quello che mi arriva ogni volta che perdo una partita da persone che probabilmente nemmeno sanno chi sono, come sono fatto, e tanto meno come gioco a tennis e che periodicamente scommettono sull’esito delle mie partite

Succede perché non vincono la scommessa

Comincia così l’atto di coraggio – e di esasperazione – di Francesco. Che ha le spalle di un 20enne: sicuramente già larghe ma mai abbastanza da poter reggere il peso di un copione indegno. Anche per questo è doveroso prendere posizione, raccontare, esserci e stargli al fianco.

Si permettono di scrivermi tutto questo soltanto perché non hanno vinto la loro scommessa. Io spero tanto che le cose cambino. Anche noi siamo delle persone in fondo, oltre ad essere degli sportivi. Ciao a tutti

La storia di Francesco Maestrelli è quella di un ragazzo di 20 anni. Coetaneo di Carlos Alcaraz. Francesco non ha potuto seguirlo, lo avrebbe fatto – come tutti – ammirato e deliziato mentre lo spagnolo prendeva a pallate Djoko nel quinto set della finale di Wimbledon: non poteva, era in campo anche lui. Una carriera che decolla nel Challenger, quella di Maestrelli che, poche settimane fa, ha vissuto il primo exploit della fin qui brevissima carriera, arrivando a occupare la 149esima posizione del ranking.

Il tennis, le scommesse. E l’odio

L’odio. Miriadi di sfaccettature e, parecchie volte, nessuna giustificazione concreta. Stavolta, la colpa del tennista è di aver perso: la sua sconfitta ha determinato quella di qualcuno che ha deciso di scommettere dei soldi sulla sua vittoria. Si odia con la naturalezza con cui si beve dal bicchiere.

L’odio viscerale nei confronti di un ragazzino: un’infamia come lo è tutto ciò che viene percepito come indegno della dignità umana, individuale o sociale. Senza dimenticare che, in questa storia, se ne potrebbe incastonare un’altra, altrettanto drammatica: quella che porta dritti verso la ludopatia. La decomposizione di sé, della proprio essere, dei comportamenti – anch’essi – individualmente o socialmente rilevanti.

La ludopatia è una patologia sempre più diffusa: la sua crescita procede – inevitabile – di pari passo con quella dell’indotto del comparto del gioco. È anche in tal senso che – al fianco di Francesco Maestrelli, si è subito schierato il canale Backstage Tennis, con una caption del reel:

I tennisti vivano situazioni difficili da immaginare con gli scommettitori: abbiamo letto e anche ascoltato attacchi personali e familiari, minacce di morte. Non si tratta di appassionati di tennis, piuttosto di persone che vivono male il rapporto con lo sport: nessuno ne parla e invece si tratta di un problema serio

Ed è un appello che raccogliamo con forza. Rendicontare. Denunciare. Raccontiamo lo sport. Per come lo ha definito il Consiglio d’Europa a Rodi nel 1992:

Qualsiasi forma di attività fisica che, mediante una partecipazione organizzata o meno, abbia come obiettivo il miglioramento delle condizioni fisiche e psichiche, lo sviluppo delle relazioni sociali o il conseguimento di risultati nel corso di competizioni a tutti i livelli

Contestualizziamo le imprese. Scandagliamo le storie. Rendiamo gloria a chi vince ma c’è sempre stata altrettanta necessità di restituire meriti e onori ai secondi classificati. Ai terzi. Ai penultimi. A quelli che non riescono a tagliare il traguardo.

Il senso dello sport, di chi lo pratica e di chi lo partecipa

Quelle storie lì – di chi sfiora ma manca, di chi arriva ma dopo, chi segna ma è solo per dimezzare lo svantaggio – sono tappe necessarie. Anche per arrivare a vincere. Ci sono passati tutti: i grandi e i meno grandi, quelli dell’exploit una volta nella vita o chi ancora si chiede come ha fatto.

Il senso della lealtà, del rispetto, del sacrificio fino a quanto ne hai. L’immagine, per esempio, di Pep Guardiola che bacia la medaglia da sconfitto è un’immagine da poster. Un capitolo di una lectio magistralis. Un pilastro. O anche: l’omaggio da brividi dei tifosi del Borussia Dortmund quando, al termine dell’ultimo turno di campionato con uno scudetto sfumato all’ultima giornata per una sconfitta casalinga che nessuno attendeva, hanno tributato alla squadra applausi a scena aperta.

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