Come sempre, in Formula 1, le innovazioni sono state oggetto di dibattiti analitici, polarizzazioni evidenti, forse addirittura una resistenza a tratti ingiustificata e anche l’halo (che oggi viene elogiato senza se e senza ma) non ne è stato esente.
Quella protezione sulla testa dei piloti, che in non pochi hanno definito una sorta di “aureola” per l’importanza dimostrata, non è stata ben accetta da tutti indistintamente quando si decise di modificare le monoposto – a beneficio degli stessi piloti – con questa sorta di piccola capsula dal peso irrisorio, appena 9 chili per decisione della Fia, circa 5 anni fa. In dotazione dal 2018 – tra i principali sostenitori l’ex ferrarista Jean Todt – la protezione venne introdotta in Formula 1, Formula 2 e Formula E. Nel corso degli anni, il suo utilizzo è stato esteso anche a Formula 3 (2019) e Formula 4 (2021).
- Halo, la protezione salvavita dei piloti
- L'ostilità nei confronti dell'halo
- Storia breve dell'halo: da chi è prodotto, team, test
- Com'è fatto l'halo, prodigio di ingegneria
- La funzione salvavita per i piloti
Halo, la protezione salvavita dei piloti
Una protezione leggera, sottilissima, ma che può reggere l’impatto di una ruota in pista partita a 225 km/h che domenica 3 luglio 2022 ha salvato la vita a Guanyu Zhou, il cinese dell’Alfa Romeo che al via si è ribaltato strusciando per centinaia di metri con l’auto rovesciata.
Un incidente dalle proporzioni spaventose, vissuto in diretta a Silverstone, e che ha allarmato spettatori e soprattutto addetti ai lavori impressionati dal volo della vettura e dal suo schianto. Miracolosamente il pilota è uscito da questo terribile impatto senza fratture, pensate, ed è merito dell’halo, un oggetto verso il quale anche gli stessi piloti avevano manifestato resistenza nonostante sia dimostrato quanto abbia aiutato in termini di sicurezza.
Le parole di Zhou dopo il crash
“È stato un brutto incidente e sono contento di stare bene”, ha dichiarato Zhou tramite un comunicato stampa dell’Alfa Romeo.
“I commissari e l’equipe medica in pista sono stati fantastici per la loro rapidità di intervento, e devo anche ringraziare la FIA e la Formula 1 per tutto il lavoro che hanno fatto, e continuano a fare, per migliorare la sicurezza delle nostre auto: l’Halo mi ha salvato oggi, e questo dimostra che ogni passo che facciamo per migliorare le nostre vetture ha risultati concreti e preziosi”.
Dopo essere stato dichiarato idoneo dall’equipe medica della FIA, Zhou ha chiarito di voler tornare in pista già in Austria, il prossimo fine settimana.
“Sono più che mai desideroso di tornare in pista e di fare ciò che amo: Sono in forma e non vedo l’ora di andare in Austria la prossima settimana”.
L’ostilità nei confronti dell’halo
Per alcuni esperti, l’halo è il simbolo stesso dei progressi in termini di sicurezza raggiunti dalla F1 dopo anni di rovinosi e mortali incidenti in pista che hanno funestato gli sport motoristici dall’alba dei campionati. Ricordavamo che al suo esordio, – nel 2017 – la sua introduzione fu aspramente criticata: rovinava l’estetica delle auto, trasformando l’auto in una specie di “infradito”.
L’indimenticabile Niki Lauda, vittima di un drammatico incidente nel 1976 al Nurburgring da cui uscì vivo quasi nell’incredulità generale, Lewis Hamilton e lo stesso Grosjean lo criticarono per poi benedirne l’introduzione quando salvò loro la vita.
Nonostante lo scetticismo iniziale che serpeggiava anche tra i ploti delle varie scuderie, alimentato anche dal timore che l’ingombro lo rendesse fastidioso e insicuro, sono già diversi i casi – che hanno preceduto quello di Zhou – in cui la presenza dell’halo ha protetto la vita dei piloti.
Quello occorso a Charles Leclerc, per esempio, che nel 2018, quando gareggiava con la Sauber, si è visto arrivare addosso la monoposto guidata da Fernando Alonso: l’impatto con la Mclaren avrebbe avuto un epilogo assai peggiore senza halo.
Un salvavita anche per Romain Grosjean che, nell’ultima gara del 2020, deve proprio all’azione dell’halo la sua integrità: finito contro un guardrail, la protezione fu essenziale nell’allargare le lamiere e impedire che colpissero la testa del francese.
Grosjean deve la propria vita all’halo e ha rinnegato pubblicamente le proprie resistenze dopo aver vissuto il momento più drammatico della propria carriera in pista.
Anche Lewis Hamilton e Max Verstappen – Gp di Monza del 2021 – si sono resi protagonisti di un episodio in cui la protezione è stata decisiva: la Red Bull dell’olandese era planata sulla monoposto del britannico.
Storia breve dell’halo: da chi è prodotto, team, test
Il sistema halo, va detto, viene realizzato da produttori esterni scelti dalla FIA ed è uguale per tutti i veicoli. Questa sorta di capsula che protegge i piloti, viene prodotta da tre aziende:
- la tedesca CP Autosport
- l’inglese SST
- l’italiana V System
ma è la versione tedesca ad essere la più usata, anche se i team hanno sempre comprato i tre halo per poi capire quale di questi si adattasse meglio alla propria monoposto.
Definire l’halo una sorta di protezione è una semplificazione giornalistica, davvero: si tratta di un piccolo capolavoro di progettazione costituito da una staffa che circonda e protegge la testa del pilota, collegata in tre punti alla scocca della monoposto.
Pesa appena 9 kg e per reggere il peso (verticale e laterale) di circa 12 mila kg è realizzato in titanio Grado 5, utilizzato normalmente nell’industria aerospaziale.
Una volta posizionato nell’abitacolo, il capo del pilota viene poi circondato da questo prodigioso anello che, come ultimo sigillo, viene posto a ulteriore protezione attorno all’unica parte scoperta della vettura.
Com’è fatto l’halo, prodigio di ingegneria
Com’è fatto l’halo? Questo pezzo, ormai indispensabile di una F1, è costituito da cinque parti in titanio che poi vengono saldate insieme con un complicatissimo processo che si svolge in una camera asettica e che va incontro, prima di essere montato su una vettura, una lunga serie di test non invasivi. Una staffa copre la testa del pilota e si collega alla monoposto in tre punti.
Identico per tutti i team, il suo utilizzo è stato preceduto da una lunga serie di test con i quali la Fia ha simulato l’uso del sistema: si evince che – in rapporto ai dati di 40 incidenti davvero accaduti – garantisce una crescita del tasso di sopravvivenza del pilota del 17%.
Infine, deve essere poi approvato dall’Istituto Globale della Sicurezza del Motorsport della Fia e quindi spedito alle scuderie.
La funzione salvavita per i piloti
Ed è in pista che svolge il suo lavoro, quello per cui è nato e che è stato definito quasi contrario alla tradizionale aerodinamica delle più eleganti monoposte del circuito: quello di salvare la vita dei piloti che, come a Silverstone, hanno rischiato ben altro che qualche graffio e una notte in osservazione.