I tifosi della Roma lo ricordano con grande affetto e ancora oggi lo ringraziano per quella notte magica del 6 maggio 2001. Fu proprio Hidetoshi Nakata a riscrivere il copione del campionato nella cornice dello Stadio Delle Alpi . I propositi di rimonta tricolore della Juventus trovarono subito riscontro nell’avvio fulminante dei bianconeri che nel giro di sette minuti colpirono prima con Alessandro Del Piero e poi con Zinedine Zidane.
Nella ripresa ci pensò proprio il giapponese a prendere per mano la Lupa e a spingerla verso il tricolore: destro meraviglioso per il 2-1, prima di propiziare il 2-2 di Montella. In una parola: decisivo.
“Fino al giorno prima sarei dovuto andare in tribuna per la regola degli extracomunitari. – spiega alla ‘Gazzetta dello Sport’ – Anche se ci fosse stata una chance, non credevo di entrare. Giocava Totti, potevo aiutare solo in caso di svantaggio. Dalla panchina vedevo Tacchinardi arretrare a ogni azione. Lo punto e faccio partire il destro. Goal”
Oggi, Nakata di anni ne ha 44 e dal mondo del calcio è distante anni luce, come rivelato nel corso di un’intervista alla ‘Gazzetta dello Sport’.
“Volevo cambiare vita, era diventato un business per gli altri. Sono tornato a casa perché mi sono accorto di conoscere poco le mie origini.”
Il suo presente si articola nel ramo dell’imprenditoria: è il CEO di Japan Craft Sake Company, azienda che commercializza sakè.
“Esistono tante tipologie, eppure se ne conoscono poche. Va bevuto freddo, la temperatura di conservazione non deve superare 5 gradi”
L’influenza del Belpaese è, però, un tratto dominante della sua vita e la profonda ammirazione per l’Italia non è mai stata un segreto.
“È la mia seconda casa. Ci ho messo un po’ ad abituarmi perché la gestione del tempo è diversa. Se un appuntamento è alle 12, ci si presenta più o meno alle 12.30. Quando sono tornato in Giappone è stato difficile, arrivavo sempre in ritardo. Ormai ero italiano e mi piaceva. Sono passati 15 anni da quando sono andato via. Faccio poca pratica, ma spero di essere ancora bravo” . in riferimento alla lingua che, tra le altre cose, parla benissimo.
Il pallone non gli manca nonostante riconosca ad esso un peso specifico determinante nella formazione dell’uomo che è oggi.
“Per me il calcio è come un fratello minore. Mi ha fatto girare il mondo e conoscere tanti amici. Probabilmente senza i sette anni in Italia, non sarei diventato ciò che sono oggi. Giocavo per passione, quando l’ambiente è cambiato ho smesso. Non avrei mai venduto un fratello per soldi. Sognavo di essere un calciatore da quando nel cortile della scuola elementare correvo per fare goal. Ci sono riuscito, adesso inizia un nuovo viaggio”.