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Martina Morandi, dalla dislessia all'A1 con Busto Arsizio: "Mi chiamavano 'stupida', il volley mi ha salvato"

Il libero, 22 anni, è pronta all'esordio: i disturbi dell'apprendimento e le sofferenze a scuola, ecco come lo sport l'ha aiutata a vedere tutto sotto un'altra prospettiva.

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Rino Dazzo

Rino Dazzo

Giornalista

Se mai ci fosse modo di traslare il glossario del calcio in una nicchia di esperti, lui ne farebbe parte. Non si perde una svista arbitrale né gli umori social del mondo delle curve

Da bambina ha sofferto i disturbi specifici dell’apprendimento, i cosiddetti Dsa. Ha avuto problemi a leggere, scrivere, calcolare. Ha sofferto molto, Martina Morandi, per quella che credeva fosse una malattia. Poi ha scoperto il volley e la sua vita è cambiata. Tanto che nel prossimo fine settimana potrebbe esordire in Serie A1. È una storia che fa battere il cuore quella raccontata sulle pagine di Repubblica da Mattia Chiusano. Che ha raccolto la testimonianza del libero 22enne dell’Eurotek Uyba Busto Arsizio. Un racconto bellissimo.

Martina Morandi, i Dsa e i problemi a scuola

Testimonianza esemplare e coraggiosa quella di Martina Morandi, che non ha avuto remore a raccontare la sua infanzia segnata dalla dislessia, le giornate trascorse a rinchiudersi in se stessa, senza troppi amici, costantemente alle prese coi giudizi e le parole taglienti di chi le stava attorno. “Mi dicevano ‘non ci arrivi alle cose’, ‘se hai bisogno delle mappe concettuali allora sei, tra virgolette, stupida'”.

Anche il non fissare il proprio interlocutore era considerato una mancanza di attenzione. E invece era solo volontà di avere tutto sotto controllo, nonostante le prese in giro dei compagni, la difficoltà a parlare, a leggere ad alta voce, nonostante la disgrafia le facesse pure invertire le parole, non seguendo la riga. “La maestra mi diceva: ‘Marti, hai dimenticato la riga sotto’, e io invece pensavo di averla letta”.

La scoperta del volley e l’aiuto a superare le difficoltà

Benedetto, provvidenziale, salvifico fu il suggerimento di una neuropsichiatra, quando Martina aveva dieci anni: farle praticare uno sport di squadra l’avrebbe aiutata a superare le sue insicurezze. Ed è stato proprio così. “In campo non sentivo la differenza con le altre come a scuola, era come se tutto si annullasse, le etichette sparivano”. E cresceva invece la consapevolezza di sé, l’autostima, la competitività. Il sentirsi parte di una squadra.

Anche chi la prendeva in giro finalmente ha cambiato opinione sul suo conto: “Se in classe prima stavo in un angolino, a un certo punto hanno cominciato a dirmigiochi a volley? Che bello’. Lo sport mi ha aiutato a fare amicizia, a pensare che la dislessia non è una malattia, rispetto ad altri fai solo più fatica a comprendere, anche nello studio”. E dalle giovanili la carriera di Martina Morandi ha spiccato il volo.

De Gennaro, Fahr, Lubian e il debutto in A1 con Busto Arsizio

Domenica Busto Arsizio, la società che ha riportato in Italia Julio Velasco, ha debuttato in A1 a Conegliano. Dall’altra parte della rete tre campionesse olimpiche: Sarah Fahr, Marina Lubian e Moki De Gennaro, il miglior libero al mondo. Libero proprio come Martina Morandi. Il debutto per la numero 7 di Busto Arsizio è stato solo rinviato. Magari potrebbe arrivare domenica, nel derby contro Bergamo.

“Quando gioco ho bisogno di punti di riferimento, la linea dei tre metri, dei nove, i cartelloni, per avere una concezione dello spazio”, un’altra rivelazione di Martina. Che ha avuto nel coach, Giovanni Caprara, e nei tecnici che lo hanno preceduto dei validi alleati: “Diciamo che sono più evoluti, addolciti, hanno cominciato a capire che non siamo tutti uguali, quindi ognuno è unico. Ma almeno in un caso come il mio, serve anche un po’ di severità: per essere richiamati a mettere ancora più attenzione”.

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