“Scusi, Presidente, ma lei ha le capacità finanziarie per gestire il Milan?”. Farina lo guarda, immaginarsi il sorrisino ironico che accompagna la risposta. “Schei no ghe no miga, ma go tanta tera da sepelirve tuti…”. Basterebbe questa battuta, in risposta ai consiglieri del Milan dopo che aveva acquistato le quote del club rossonero, per far capire chi era, almeno in parte, Giuseppe Farina, per tutti Giussi, morto a 91 anni dopo una vita intensa tra alti e bassi.
- Fu l'ultimo presidente del Milan prima di Berlusconi
- La carriera di Farina
- La svolta con Paolo Rossi
- L'asta con la Juventus
- L'acquisto del Milan
- La polemica con Bearzot
Fu l’ultimo presidente del Milan prima di Berlusconi
Nato a Gambellara, in provincia di Vicenza, nel 1933, avrebbe compiuto 92 anni a settembre. Nel corso della sua carriera da imprenditore ha guidato Padova e Vicenza, dove ottenne uno storico secondo posto in Serie A durante l’annata 1977-78 con Paolo Rossi al top della forma, ma anche Vicenza, Audace, Valdagno, Legnago, Schio, Rovigo, Belluno, Rovereto, Modena, Palù e Milan, di cui fu l’ultimo presidente prima dell’era Berlusconi.
La carriera di Farina
A 18 anni già lavorava nell’azienda di famiglia. Prese la laurea in legge solo perché il padre insisteva. Nella vita non si è fatto mancare niente, pur portandosi sempre dietro l’etichetta di presidente-contadino. “Quando trovavo una bella cosa la compravo, d’altra parte a quei tempi ne avevo le possibilità” – disse una volta al Foglio. Aziende, calciatori, donne. Ha avuto quattro mogli. Per il Lanerossi acquistò talenti inimitabili come Angelo Sormani e Luís Vinício, «un formidabile allenatore» e Cinesinho, «un piede storico, segnava su calcio d’angolo».
«Ho sempre evitato la noia. Il bello del calcio è che non sai mai come va a finire. Il mio amuleto era un rametto di timo, lo tenevo nel taschino della giacca, ogni tanto lo sfregavo e veniva fuori quel profumo e spesso anche un goal che cambiava la partita».
La svolta con Paolo Rossi
Il nome di Farina è indissolubilmente legato a quello di Paolo Rossi: «giravo come un pazzo per provare a rafforzare la formazione, sapevo che quell’anno si poteva fare il colpo. Avevo capito che la stoffa c’era e poi mi dissero che era un bravo ragazzo. In una vita nel calcio non mi sono innamorato di nessuno tranne che di Paolo». Dal Como, dove giocava in prestito dalla Juve ma da ala destra, a bomber del Real Vicenza. 45 gol in due anni.
L’asta con la Juventus
La Juve rivoleva Rossi, Farina non voleva mollarlo. Sul tavolo del mercato calcistico si gioca la roulette delle buste per la comproprietà. Farina crede di avere le carte giuste da giocare…”Due miliardi e sei. Sulla busta devi scrivere: due miliardi e sei – gli dice una fonte anonima -Giussy, fidati, la Juve mette due miliardi e mezzo. Tu metti due e sei e Paolo è tuo”. Giussy Farina non dormì, ci pensò, si fidò. E la mattina dopo sulla busta in ceralacca della Lega scrisse: 2 miliardi, 612 milioni e 510 mila lire. Solo dopo – quando aprirono la busta della Juve – si scoprì che i bianconeri si erano fermati a 875 milioni. Ne nacque uno scandalo con le dimissioni del presidente federale Carraro ma ormai i giochi erano fatti. “Se il calcio è un’arte, Paolo Rossi era la sua Gioconda – disse – e noi lo volevamo a Vicenza”.
Al Corriere della Sera anni dopo rivelò: “Agnelli mi diede anche un miliardo in nero. Non rammento come lo spesi, giuro. Mi convocò a Torino: ‘Voglio Paolo Rossi‘. Glielo ridò fra un anno, replicai. ‘No, adesso’. Andammo alle buste. Quello stesso anno il Vicenza fu retrocesso in serie B. Capito come funziona il calcio?“.
L’acquisto del Milan
Farina rilevò poi il Milan il 19 gennaio 1982. Qualche giorno dopo essersi insediato Farina sostituì Radice con Italo Galbiati. Ma i rossoneri chiusero al 14° posto, retrocedendo in Serie B per la seconda volta. Nel 1982-83 arrivò Ilario Castagner, il quale riportò subito il Milan nel massimo campionato. La stagione successiva, però, fu tutt’altro che positiva. Castagner fu esonerato, poi nell’annata 1984-85 tornò Liedhom. Farina si dimise da presidente nel 1986, a seguito di una situazione finanziaria compromessa. Al suo posto venne eletto Rosario Lo Verde, che rimase alla guida della società come reggente. Il 20 febbraio 1986 il presidente di Fininvest Silvio Berlusconi acquistò la squadra, ripianando il debito di diversi miliardi di lire e salvando il club dal fallimento.
Sempre al Corsera il ricordo di Farina: “Nel 1982 ero a tavola con amici al Principe di Savoia. Entrò Felice Colombo, presidente rossonero: ‘Basta, sono stufo della squadra. Se trovo qualcuno che mi dà 3 miliardi, gliela tiro dietro’. Avevo accanto Carlo Bonfante, ragioniere in pensione di Isola della Scala, il mio contabile di fiducia, più fedele di una moglie. Gli dissi: ragioniere, scriva. ‘Come da proposta in presenza di testimoni, accetto l’acquisto del Milan per 3 miliardi di lire‘. E feci spedire una raccomandata.
Berlusconi me ne offriva 15. Mi chiamò Giampiero Armani, azionista della squadra rossonera: ‘La compro io per 20’. L’indomani il petroliere piacentino ricevette una telefonata da Bettino Craxi: ‘Quell’affare non è per te’. E così non si presentò dal notaio. Invece arrivò la Finanza. Tutti i beni che avevo dato in garanzia, inclusa la casa di Verona della mia prima moglie, mi vennero portati via, mi son fatto anche due giorni di galera per questo. E poi, un anno di servizi sociali, come se fossi un delinquente da tenere d’occhio…”
La polemica con Bearzot
Gli aneddoti su Farina potrebbero non finire mai: “Andai ai Mondiali di Spagna e dopo la prima partita con la Polonia, 0-0, alla sera andai a cena con un po’ di giornalisti. Io parlavo in libertà, si era tra amici. Loro scrissero tutto, il giorno dopo. Io avevo un po’ criticato il gioco dell’Italia, che aveva lasciato solo Rossi. Si scatena un putiferio, Bearzot rassegna le dimissioni che poi ritira. Io me ne devo tornare di corsa in Italia…”.
