In una lunga intervista a Slick Magazine Davide Brivio, che dal ventennio alla Yamaha (sfavillante con Valentino Rossi) alle recenti esperienze con Suzuki (Mir iridato) e Alphine (in F1) ha maturato un acuto spirito critico e di osservazione, ha spiegato perché le Case giapponesi storiche, Honda e Yamaha, non hanno tenuto il deciso passo della Ducati, e più in generale delle Scuderie europee: “Non è una questione di soldi, ma di mentalità. La tecnologia è la conseguenza della maniera in cui il suo uso è organizzata: le aziende europee hanno maturato un approccio molto aggressivo nel fare le corse, Honda e Yamaha hanno l’obbligo di percorrere questo sentiero; è un metodo in parte ispirato dalla F1, si vuole sempre migliorare, sempre fare ricerca, sempre trovare soluzioni. I giapponese sono rimasti al business standard, fare un buon motore, fare un buon telaio e lavorare sull’elettronica: accelerazione, frenata, maneggevolezza; la Ducati si è spinta più avanti, ma non ci si deve limitare a temi come aerodinamica o variatori d’assetto. Le aziende italiane fanno ricerca, sperimentano, lavorano per limare 1″: non è più la MotoGP di vent’anni fa, dove le aziende giapponesi puntavano sulla lunga programmazione; Aprilia e KTM si sono adeguate, a volte l’eccesso di novità ha portato a perdere la strada o sbagliarla, ma una volta che si trova la quadra lo spirito ha fatto la differenza”.
L’approccio si mescola alla tecnologia: “I giapponesi dopo aver messo in pista una moto accettano piccole evoluzioni, questo bastava nei loro anni d’oro; la vecchia guardia dei tecnici fa fatica a seguire la mole di dati e a cercare una soluzione scientifica a un problema. Adesso servono molti ingegneri, meglio se giovani: in Giappone tendono a distinguere ancora tra lavoro in fabbrica e lavoro in pista, invece sono aspetti da affiancare, altrimenti non si riesce a risolvere subito un problema, né a orientare lo sviluppo della moto per l’anno dopo. I giapponesi in pista faticano a fornire alla fabbrica informazioni precise su come risolvere un problema e sviluppare poi la moto. Ora bisogna fare la moto insieme e farla funzionare insieme in pista: pian piano la Suzuki ha capito che era il metodo vincente, e senza avere il budget degli altri. L’analisi sofisticata dei dati va oltre le indicazioni di un pilota su un problema: la frenata per esempio va migliorata, ma se affianchi all’indicazione il dato faciliti la risoluzione di un problema. Non si tratta solamente di assumere ingegneri, ma di pianificare, organizzare, coordinare; è una evoluzione ormai vecchia di 5 o 6 anni, ma qualcuno ancora non l’ha capito”.