Una vita con i colori nerazzurri. Carlo Muraro ha giocato nove stagioni all’Inter oltre ad essere cresciuto nelle giovanili dove ha conquistato una Coppa Italia Primavera nel campionato 1972-’73. Un’ala sinistra molto veloce, abile nel dribbling e nel crossare al centro dell’area. Proprio per la sua rapidità venne soprannominato lo “Jair bianco”, perché molto simile al calciatore brasiliano.
Ma chi le affibbiò questo soprannome?
“Me lo diede Helenio Herrera che era un grande nell’attirare attenzione, perché ero simile nella velocità a Jair. Un allenatore dal grande carisma avanti di trent’anni rispetto agli altri. Non ho visto mai nessun altro tecnico fare un allenamento senza la palla che era, comunque, sempre presente. Aveva personalità e tutti avevano grande
rispetto verso di lui, oltre ad essere un ottimo motivatore. Ho avuto, poi, la fortuna di avere un’ottima palestra avendo giocato con Mazzola, Boninsegna, Facchetti. Bastava seguirli per crescere”.
Ricorda la stagione al Varese?
“Certo era una squadra composta da grandi promesse come Dal Fiume, Ferrario, Martina, Chinellato. Era una formazione composta da tanti giocatori che provenivano dalle giovanili di serie A. Segnai 16 reti quell’anno. All’inizio ci davano per retrocessi, arrivammo ad un punto dalla promozione in massima serie”.
Cosa significano per lei i colori nerazzurri dell’Inter?
“E’ casa mia, sono cresciuto nelle giovanili fino ad arrivare alla prima squadra. Mi è rimasta nel cuore e mi sento interista”.
La rete che ricorda di più?
“Sicuramente la prima in serie A segnata al Napoli. Contro i partenopei ho segnato due doppiette, una a San Siro e una al San Paolo. Proprio il primo goal realizzato agli azzurri ha aperto la mia strada da titolare con i colori dell’Inter”.
Domenica c’è Inter-Napoli.
“E’ una gara importante per entrambe. E’ logico che in questo momento vista la classifica per i nerazzurri è fondamentale. Perché se l’Inter esce sconfitta potrebbe perdere quella cattiveria che avrebbe, invece, avvicinandosi al Napoli e al Milan in classifica se al contrario vince”.
Stagione 1980-’81, ritorno dei sedicesimi di finale di Coppa dei Campioni contro l’Universitatea Craiova, una data importante per la sua carriera.
“Era la mia prima apparizione in Coppa dei Campioni, eravamo obbligati a non perdere dopo il 2-0 dell’andata in casa, contro una formazione che l’anno prima aveva disputato la finale di Coppa Uefa. Alla mezz’ora del primo tempo feci settanta metri in contropiede saltando degli avversari e, poi, davanti al portiere la piazzai segnando. Nei quarti di finale segnai, poi, una rete decisiva alla Stella Rossa a Belgrado che ci permise di andare in semifinale. Mi diede una palla Beppe Baresi e io calciai di esterno sinistro in rete”.
Gianni Brera, poi, le affibbiò l’appellativo di Carletto Sparalesto.
“Dopo la mia prima rete in serie A che segnai al Napoli, realizzai sette goal in tre partite. Probabilmente Brera fu impressionato dalla mia velocità. Avrei dovuto chiederlo a lui come mai questo soprannome ma non l’ho mai fatto”.
Ha un rimpianto oggi nel corso della sua carriera?
“Con più esperienza ora sulle spalle forse se avessi giocato un po’ più per me stesso avrei realizzato qualche rete in più, anche se non c’è mai una controprova. Ho sempre giocato per la squadra, mi piaceva molto fare assist. Credo che nel corso di tutta la mia carriera ho fatto molti più assist che goal. Mi interessava giocare per la squadra. Segnare veniva in terz’ordine. Non sono mai stato egoista”.
Le faccio due nomi: Bersellini e Mazzone.
“Si assomigliavano, due sergenti che amavano le regole oltre a farle rispettare. Negli allenamenti avevano però metodologie differenti”.
Poi, all’Inter ha avuto come compagno di squadra Hansi Muller.
“Giocatore intelligente, in pochi mesi imparò subito il milanese con cui raccontava spesso barzellette. Era appassionato di automobili e musica. Restò solo una stagione all’Inter perché ebbe dei problemi fisici che non gli consentirono di mostrare tutto il suo valore”.
L’anno dopo arriva un certo Rummenigge.
“Il sabato della prima di campionato Rummenigge s’infortunò. Il tecnico Castagner mi diede l’opportunità di debuttare in quel campionato e feci il goal più veloce dopo otto minuti all’Atalanta e vinsi 600 bottiglie di vino”.
Il ricordo più bello?
“Per me è stata importante una cosa che, poi, non si è mai avverata quella di poter debuttare con la Nazionale maggiore. Ho giocato con quella sperimentale con quattro convocazioni e due presenze. Un anno Bearzot fece le convocazioni il venerdì ed ero nella lista. Ma m’infortunai a Cesena e non potetti andare a giocare in Belgio dove esordì anche Paolo Rossi in quella occasione. Poi, ricordo con piacere la rete che realizzai con la maglia dell’Inter in una porta dove fece goal Pelè all’Azteca in una tournèe estiva del ‘74″.
Pasquale Guardascione