LeBron torna al 23, lasciando per sempre quel numero 6 che ne ha contraddistinto alcuni tra gli anni più importanti della sua carriera. Decisione ampiamente prevista e in qualche modo anche annunciata, sulla quel però qualcuno ha provato subito a imbastire sopra una polemica: perché tornare a quel 23 che impone giocoforza il paragone con MJ?
Del resto LeBron è il giocatore più divisivo della storia moderna della pallacanestro a stelle e strisce: o lo ami o lo odi, e ai suoi detrattori non è parso il vero di poterlo tornare ad attaccare a poco meno di due mesi dallo sweep ricevuto dai Nuggets nelle Western Conference Finals.
- Il diktat dell'Nba: via il 6 da tutte le franchigie
- La scelta di Lebron: "Rinuncio"
- In onore di Bill
- L'alternanza: dalla 23 alla 6 e viceversa
- Un ritorno alle origini
Il diktat dell’Nba: via il 6 da tutte le franchigie
La 21esima stagione del Prescelto di Akron inizia con una novità che era nell’aria: lo scorso agosto l’NBA decise di ritirare il numero 6 di tutte le franchigie come gesto di riconoscenza e rispetto nei confronti di Bill Russell, scomparso pochi giorni prima, il giocatore al quale è intitolato il premio di MVP delle Finals, nonché uno dei primi a portare alla ribalta i temi razziali nella lotta all’integrazione tra bianchi e neri sia all’interno che fuori dal parquet.
La scelta di Lebron: “Rinuncio”
La decisione contemplava un’eccezione: quei giocatori che indossavano il 6 nel momento in cui è stata presa la decisione avrebbero potuto continuare a farlo fino a che sarebbero rimasti nella medesima squadra di appartenenza.
Così anche LeBron, che l’aveva scelto nelle precedenti due stagioni, che pure avrebbe voluto cambiarlo subito proprio per rispetto nei confronti di Russell: a impedirgli la sostituzione fu nientemeno che l’area marketing dei Lakers, d’intesa con lo sponsor tecnico delle 30 squadre (cioè Nike, la stessa azienda che veste James sin dagli albori), poiché non c’era tempo per preparare le maglie con il nuovo numero 23 al posto del 6.
La jersey di LeBron rimane pur sempre una la prima canotta NBA per numero di vendite in America (in Europa è stato superato da a Curry: addirittura in Italia è scivolato al quinto posto) e richiede una preparazione assai più laboriosa rispetto alla stragrande maggioranza dei suoi colleghi.
In onore di Bill
L’agente Rich Paul ha spiegato che
la decisione di cambiare è stata presa da LeBron in segno di rispetto nei confronti di Bill Russell
che avrebbe già voluto farlo lo scorso anno.
Per me indossare il numero 6 in questa stagione sarà un onore: non sono sicuro che continuerò a farlo, ma per il momento lo indosserò in sua memoria
aveva raccontato James a ESPN nel settembre dello scorso anno, ribadendo la sua ammirazione per Russell che tante volte si era esposto in difesa dei diritti dell’uomo e su temi definiti scomodi non soltanto all’interno della lega. Russell fu il primo prototipo di giocatore politicamente impegnato, e LeBron ne ha sempre parlato con ammirazione.
L’alternanza: dalla 23 alla 6 e viceversa
La prima volta che gli volle rendere omaggio fu durante i quattro anni in cui fu di stanza a Miami: all’epoca (2010-2014) James abbandonò il 23 che aveva indossato nelle prime 7 stagioni a Cleveland (a Miami il 23 venne ritirato in onore di Michael Jordan, seppur non avesse mai giocato in Florida), scegliendo di andare a South Beach a caccia del primo anello in carriera (ne arriveranno due con 4 finali consecutive).
Quando tornò ai Cavs bel 2014 riprese l’amato 23 degli inizi, poi tenuto anche nei primi tre anni ai Lakers (con un titolo in entrambe le esperienze). Dal 2021 James scelse di tornare al 6 anche a LA, dove da quest’anno riproporrà il 23 sulla schiena.
Il 6 è stato anche il numero scelto per le sue esperienze con Team USA tra mondiali e giochi olimpici, in un’epoca in cui i giocatori potevano scegliere numeri compresi tra 4 e 15. Ed è stato utilizzato anche sul set di Space Jam 2, certo per differenziarsi dal 23 che indossò Jordan a metà anni ‘90.
Un ritorno alle origini
Sin dai tempi dell’high school, quando militava a St. Vincent & St. Mary, quel 23 sulle spalle ha finito per mettere a LeBron una pressione un po’ superiore rispetto alle logiche attese. Perché era comunque il numero di MJ, e qualcuno ha trovato da subito un po’ inappropriato quel paragone che pure, in termini statistici o anche solo di impatto mediatico, i successivi 20 di carriera avrebbero dimostrato essere più che fondato.
LeBron in età adolescenziale non negò mai la sua ammirazione per il giocatore che ha cambiato per sempre il destino dell’NBA, rendendola un fenomeno planetario di cui lo stesso James ha poi beneficiato nel corso della sua carriera dentro e fuori dal campo.
Il ritorno al 23 in quelli che (sulla carta) rappresentano i suoi ultimi anni da giocatore ha dunque un che di romantico: è un po’ un ritorno alle origini, e una volta di più metterà il fenomeno di Akron nelle condizioni di dover convivere con un paragone che l’ha accompagnato durante tutta la sua avventura NBA. Ma James è James e MJ è MJ: aver goduto di entrambi è forse quanto di meglio la lega avrebbe potuto augurarsi. E ci sarebbe solo di che essere contenti…