Il rossonero sulla pelle. Il bianconero nel DNA. È questo, in un certo senso, il paradosso calcistico vissuto nel corso dei suoi cinque anni in Italia da George Weah. Attaccante iconico e simbolo di un Milan alla fine del ciclo degli invincibili, il liberiano arriva all’ombra delle Madonnina portando in dote lo speciale Pallone d’Oro 1995, il primo assegnato a un calciatore non europeo.
Negli anni, Weah è protagonista di 58 reti in 147 partite, che valgono anche due scudetti certamente non banali, quello del ’95 e quello difficile da prevedere con Zaccheroni nella stagione 1998-1999. Un titolo impreziosito dalla doppietta segnata al Delle Alpi nello 0-2 alla Juventus del 9 maggio 1999. Oltre un quarto di secolo più tardi in un gelido sabato sera di metà gennaio, il Delle Alpi, che oggi è Allianz Stadium, si fa nuovamente teatro della consacrazione di un Weah, Timothy e il destino dipana la sua trama.
Nato pochi giorni dopo l’addio di George al rossonero, Tim insacca la sfera alle spalle di Maignan nella stessa porta trafitta da papà George, risolvendo con il suo diagonale mancino il paradosso: bianconero nel DNA, bianconero sulla pelle. Una storia scritta nelle stelle, che ha la sua perfetta conclusione in quel 2-0 messo a segno ubriacando Tomori dopo aver tagliato in due la difesa del Diavolo con uno scatto fulmineo scritto nel corredo genetico.
Una rete che cura la Juve di Motta dalla “pareggite” cronica e, soprattutto, sigilla l’eredità di George spostando definitivamente i riflettori su un ragazzo di quasi 25 anni pronto a uscire dall’ombra del padre e a vivere da protagonista il proprio destino. Ad arricchire la narrazione, l’assist di un altro figlio d’arte bianconero, Khéphren Thuram, ma questa è un’altra (straordinaria) storia di calcio e merita un racconto a sé…