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Tour de France, il bilancio della prima settimana: Pogacar padrone, Vingegaard in attesa, Milan salva Italia

Praticamente giunto a metà strada, il Tour ha detto che saranno sempre e solo Pogacar e Vingegaard a giocarsi la corsa. Milan ha rotto l'incantesimo che durava dal 2019,.

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Roberto Barbacci

Roberto Barbacci

Giornalista

Giornalista (pubblicista) sportivo a tutto campo, è il tuttologo di Virgilio Sport. Provate a chiedergli di boxe, di scherma, di volley o di curling: ve ne farà innamorare

Tecnicamente è il primo giorno di pausa, ma il Tour è come giunto a metà del proprio percorso: 10 tappe se ne sono andate, 11 ne restano da affrontare, con un’egemonia piuttosto chiara evidenziata dal solito Tadej Pogacar e uno Jonas Vingegaard apparso come l’unica alternativa credibile allo sloveno, seppur il mezzo disastro mandato a referto a cronometro abbia finito per inguaiare e non poco il danese di casa Visma. Ma il Tour che s’è fermato prima di concentrarsi sulle prime vere montagne (pirenaiche, poi nella terza settimana spazio alle Alpi) ha detto tante cose, e tra mille problemi ha persino sorriso ai colori italiani. Questa una vera rarità.

Pogacar non vede l’ora che la strada salga (ma è senza Almeida)

Impossibile non partire da Pogacar, maglia gialla “a giorni alterni” (o quando più la desidera), che per due volte s’è messo il body a tinta unita e che per due volte se l’è sfilato di dosso, consegnandolo prima a Mathieu van der Poel, quindi a Ben Healy.

Pogacar che sembra assolutamente padrone delle operazioni: ha vinto una tappa “storica”, perché vincere al Tour in maglia iridata la 100esima corsa in carriera è qualcosa che non ha prezzo (e l’ha studiata a tavolino). E dei big di classifica è quello che è sembrato andare meglio, considerando che Evenepoel gli ha dato qualche secondo a cronometro, ma quando la strada sale non può stargli addosso. Finora è andato tutto bene, e questa è la cosa più importante. Ho sfruttato il giorno di riposo per andare dal barbiere e godermi un po’ questa terra di Francia, perché i primi 10 giorni di corsa come temevo sono stati nervosi e frenetici”.

Unico neo per Pogacar, quello di aver perso Joao Almeida, vittima di una caduta. “Tante, troppe cadute. E non avere più Joao può rappresentare un problema, specie ora che arriveranno le salite. Ha corso con due costole rotte per due giorni, è stato eroico. Anche Sivakov è acciaccato, speriamo solo che il riposo gli abbia fatto bene. Chiaro che adesso andremo sul terreno a me preferito: gli altri dovranno attaccare, io cercherò di non farmi sorprendere”. La chiave sarà la crono di Peyraguedes, “la tappa che attendo con più impaziente”, ammette Tadej. Che al solito del Tour sembra poterne fare ciò che più desidera.

La Visma può giocare sulla superiorità numerica

Vingegaard medita di rispondere sulla strada, e tutto sommato sa di poter dire la sua anche in salita, visto che sin qui ha sempre risposto agli scatti del rivale. La brutta prova a cronometro è il motivo del ritardo accumulato in classifica (1’17”) ed è anche quello che fa pendere l’ago della bilancia dalla parte del campione in carica.

La Visma però ha una squadra più “lunga” (nessuno si è ritirato) e con tante punte: la vittoria di Yates nella decima tappa dimostra che in salita i calabroni possono dire la loro in ogni situazione. Vingo avrà più scudieri e la superiorità numerica potrebbe rivelarsi una chiave di volta nelle vicende d’alta classifica.

Italiani, Milan ha rotto l’incantesimo. Ma è l’unica nota lieta

Il Tour degli italiani sin qui è stato nefasto quasi per tutti, tranne che per Jonathan Milan. Che ha sfatato il tabù maledetto che durava da 113 tappe (quelle senza vittorie italiane) ma che ha pure perso due sprint per una questione di centimetri contro Merlier. In un Tour senza Philipsen, messo fuori gioco da una caduta, certi treni passano una volta sola e sebbene il friulano indossi la maglia verde, forse era lecito aspettarsi qualcosina in più.

Ganna è stato vittima della prima caduta della corsa, primo degli 8 ritirati per via delle tante cadute che hanno gettato ombre sul Tour (e polemiche anche da parte dei corridori: troppi rischi sulle strade di Francia). Per il resto, poco da segnalare, con la crono di Affini (terzo) unico barlume e un quinto posto all’esordio di Trentin.

Milan vorrà portare la maglia verde fino a Parigi: l’ultimo a compiere l’impresa fu Petacchi nel 2010, e in un momento storico tanto desolante per il pedale italiano non sarebbe affatto una cattiva cosa…

Van der Poel da clonare, Healy da urlo. Male Roglic e Girmay

Le prime 10 tappe hanno ribadito al mondo intero che Mathieu van der Poel è un fenomeno, e che vederlo correre è una delizia per gli occhi. Meno appariscente sin qui Van Aert, che paga forse anche le fatiche del Giro. La sorpresa, oltre a Ben Healy (che una top 10 l’aveva messa nel mirino da subito), è il francese Kevin Vaquelin, indomito tanto nelle fughe, quanto negli arrivi con i big.

Evenepoel ha fatto il suo a cronometro, ma più che a un posto sul podio come terzo incomodo non dovrebbe ambire. Dietro la lavagna la Red Bull Bora Hansgrohe di Roglic e Lipowitz e pure Girmay, lontanissimo parente rispetto a quello ammirato lo scorso anno.

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